‘Songs of Innocence’: il suono del cambiamento (recensione)

Martedì scorso ho guardato il Keynote di Apple, come sempre incuriosito da quello che potevano essere i rumor sui nuovi prodotti e questa volta con una curiosità ulteriore viste le voci che volevano gli U2 sul palco a Cupertino.
La segretezza con cui Apple presenta solitamente i propri prodotti ha funzionato ancora alla grande e il fatto che ad un certo punto Tim Cook abbia annunciato gli U2 sul palco ha comunque lasciato il gusto di poter dire: “allora è tutto vero”.
Non solo gli U2 erano sul palco, non solo gli U2 avevano suonato un nuovo inedito, non solo gli U2 avevano appena annunciato il titolo di un nuovo album, non solo quest’ultimo era già immediatamente disponibile su iTunes… ma era pure gratuito!

Eppure martedì sera ero triste, il primo ascolto dell’album è stato addirittura disastroso… ho trovato quasi tutti i brani noiosi.
Martedì sera un fan degli U2 non poteva essere pienamente felice nonostante tutte queste belle novità, perché quello che si era visto e sentito sul palco era qualcosa di vecchio, appesantito e… noioso.
Sì, ho visto una band noiosa… e non potevo credere che quella fosse la mia band preferita, un gruppo che è diventato molto di più nella mia vita e che mi ha permesso di conoscere persone, fatti e luoghi che probabilmente non avrei mai conosciuto in vita mia o che per lo meno avrei vissuto in maniera differente.
Non volevo credere a quello che avevo visto e sentito. L’ascolto di un nuovo album degli U2 era stato per la prima volta un momento triste da quando sono diventato fan di questa meravigliosa band.

Però, come ogni sentimento davvero profondo, non c’è mai fine al bene e quando il sentimento diventa così forte da assomigliare ad un sentimento fraterno, non si potrà mai dire basta o allontanarsi perché ormai queste voci e questi suoni faranno parte di noi fino alla fine.
Piano piano questo disco si è scoperto, piano piano i brani hanno cominciato ad avere una loro identità e i testi hanno contribuito a dargli una forma.
Quante volte abbiamo sognato un album con pochi fronzoli di contorno, un album con una copertina sobria, un album senza singoli spacca radio, un album con suoni non da stadio. Quante volte ci siamo detti: perché gli U2 non smettono di cercare di essere per forza la miglior band del mondo e tornano a fare musica per il piacere di farla e basta?
Certo questo non è un album di nicchia e non ci sono sonorità così particolarmente ricercate da dover per forza chiamarlo “alternativo”… ma per quello che gli U2 sono da 15 anni a questa parte questo album è un grande sforzo.
E’ un tentativo di uscire da quel binario di modi e maniere che ormai stavano rovinando l’immagine e i ricordi più belli di una delle band più importanti della storia della musica.
Senza entrare nel merito di ogni singolo pezzo, dove ancora ci sono echi di chitarrone senili da rock’n’roll con pantaloni in pelle e occhialoni da sole, in questo album ci sono ottimi tentativi di levarsi dalle spalle quel pesante fardello di dover essere gli U2.

E’ un album che come sempre non potrà mettere d’accordo tutti e che nessun fan potrà mai chiamare “capolavoro” perché quelli ci sono già stati… però è un disco che prova ad aprire una nuova vita ad un band che ha già vissuto sorprendentemente tre decadi con grandissimi risultati.
Non è chiaro dove finisce il tentativo di essere sinceri e dove inizia quello dove si vuole far credere di esserlo, però è un grande passo in avanti per una band come gli U2.
In questo sforzo però dovremmo esserci anche noi perché qualsiasi cosa gli U2 producano dopo Achtung Baby è sicuramente inferiore, ma perché continuare a paragonarli con quegli U2?
Non siamo forse noi fan che non siamo in grado di lasciarci alle spalle quell’epoca? Gli U2 hanno insegnato a tutti che il liberarsi dei pregiudizi e del passato è l’unico modo per sopravvivere ai tempi che cambiano e allora perché continuare a confrontarli con un mondo che non esiste più?
Quello che ancora manca agli U2, a mio parere, è il modo in cui si pongono nel pubblicare un album e nel taglio che vogliono dargli.
La loro immagine al keynote è un’immagine vecchia, è quel voler essere ancora dei teenager quando non lo sono più nemmeno i loro figli tra poco.
Se gli U2 accettassero questo passaggio in toto, e questo album per lo meno musicalemente ci sta provando, allora forse potrebbero tirare i remi in barca e arrivare in porto serenamente.
Gli U2 hanno il dovere di chiudere la loro carriera allo stesso livello di come l’hanno mantenuta, hanno il dovere per loro stessi e per quello che hanno dato al mondo di dover chiudere il cerchio egregiamente… e io credo che questo album sia il primo passo, il primo testamento della loro uscita dalle scene.
Gli U2 sono come una vecchia signora, stupenda in gioventù e oggi con tante rughe e tanti dolori… è inutile paragonarla a quando aveva 25 anni ed era nel fiore della vita. L’unico modo per trovare una serenità è guardarla negli occhi, quelli non cambiano mai e gli occhi di questa band sono Bono, sono i suoi testi, è la sua voce che ancora una volta riscalda e abbraccia.
Guardando bene in quegli occhi si potrà trovare finalmente il nirvana di questa band.

Rudy Urbinati

Se te ne vai?
Se tu vai per la tua strada e io per la mia
Siamo così?
Siamo così indifesi contro la corrente?
Baby ogni cane per strada
Sa che siamo innamorati della sconfitta
Siamo pronti ad essere spazzati via dai nostri piedi?
E smettere di inseguire
ogni onda che si infrange

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