Draw not war, intervista a Matteo Valenti

Certe volte l’arte, come sappiamo bene noi appassionati di musica, può davvero abbattere gli ostacoli più resistenti e costruire strade dove prima c’erano solo macerie.
E’ stata fondamentalmente questa l’idea alla base del progetto DRAW NOT WAR che ha visto collaborare ragazzi appartenenti a diversi Paesi che hanno o hanno avuto problemi di conflitti.
Gli studenti dei college artistici di Belfast (protestanti), Derry (cattolici), Sarajevo (delle tre etnie), israeliani e palestinesi, si sono dati appuntamento nel novembre scorso a Genova per lavorare fianco a fianco alla sceneggiatura di tre video di animazione sul tema del dialogo.
La colonna sonora di questi tre video? Due canzoni degli U2 (Sunday Bloody Sunday e Staring At The Sun) e una dei Pearl Jam (Insignificance), accomunate dal tema della guerra. Grande sorpresa quando le due band di fama mondiale hanno deciso di concedere i diritti per l’utilizzo dei brani.
L’artefice di tutto ciò è Matteo Valenti, non solo un regista e sceneggiatore che si occupa di produzione video soprattutto per il cinema d’animazione, ma anche un iscritto al nostro forum! Quando ci ha raccontato di aver messo mano ad un progetto ambizioso come DRAW NOT WAR, abbiamo subito deciso di fare una chiacchierata con lui per scoprire qualcosa di più su questa fantastica esperienza.

Com’è nato questo progetto?
Mi occupo di video di animazione, di sceneggiatura e spesso lavoro con i ragazzi delle scuole o delle università, per far fare loro delle esperienze di video animati. Stavo finendo un progetto che coinvolgeva degli Istituti d’arte per animare le sette canzoni di Creuza de Ma di De Andrè e mi era stato chiesto di proporre un altro progetto di questo tipo… Nella mia testa si è accesa una piccola lucina. Ricordo che ero in vacanza, e ad un certo punto dissi a mia moglie: “Per il prossimo lavoro coinvolgo gli U2!”. E lei (giustamente) si è messa a ridere.

Com’è andata la settimana di collaborazione che ha visto i ragazzi lavorare insieme ai tre video?
E’ stata una delle settimane più difficili della mia vita. Quasi subito, tra palestinesi e israeliani ci sono state delle difficoltà. I problemi nascono da ogni cosa, anche ciò che non penseresti mai, una parola, una frase, un disegno. Sono realtà che noi non possiamo capire fino in fondo. E quindi mi sono trovato a gestire questa situazione non facile. Tra i ragazzi di Sarajevo le cose sono andate meglio, anche perché frequentano già la stessa scuola. Anche con i nord-irlandesi non è stato semplice. Se rileggo i fogli che hanno scritto il primo giorno, mi vengono i brividi: frasi come «Io non ho amici dell’altra parte» o «Io non sono mai entrata in quartiere cattolico (o protestante)», fanno riflettere su come sia ancora alterata la situazione. Alla sera poi dovevo lavorare sulle idee del giorno e quindi rimaneva poco tempo per interagire con loro a livello umano.

dRAW not WAR trailer from dRAW not WAR on Vimeo.

Hai qualche aneddoto da raccontare delle tue trasferte?
Ero in Palestina e mostravo ai ragazzi il video di Sunday dal vivo, quello di Rattle And Hum mi pare del 2001 a Slane Castle. Gli studenti palestinesi mi hanno confessato di non conoscere assolutamente gli U2. Ma, del resto, non conoscono praticamente nessun altro. Però… ho notato in un paio di loro, una certa esaltazione e rapimento mentre guardavano il video. E infatti alla fine mi hanno detto che erano rimasti davvero elettrizzati. Il giorno dopo sono tornato con un cd raccolta che avevo con me e l’ho regalato loro, facendoli davvero felici.

Nel nuovo tour, Bono spesso parla dell’importanza del compromesso con riferimento alla sua Irlanda, dell’importanza del dialogo per superare gli effetti di questi conflitti. Come sei riuscito, dal punto di vista pratico, a riunire in un unico progetto ragazzi che appartengono a società che spesso si contrappongono in modo così duro?
Difficilissimo anche questo. Le scuole nord-irlandesi ad esempio (college cattolici o protestanti) mostravano un certo interesse generico, ma poi scomparivano una dopo l’altra e non davano più nessuna risposta. Questo mi ha fatto cominciare a riflettere sul fatto che questo progetto era un po’ folle. Ma insistendo si trovano persone con coraggio e così alla fine abbiamo trovato dei presidi che hanno deciso di mettersi in gioco, sfidando anche quelli che non vedono di buon occhio questi “avvicinamenti”. Per Sarajevo tutto liscio, anche grazie alla collaborazione dell’Ambasciata Italiana sul posto. Per Israele e Palestina, ti lascio immaginare: ho smosso mari e monti, Ambasciate, consolati, Associazioni di ogni tipo. Ero appena riuscito ad ottenere l’adesione di due scuole, ma proprio in quel momento è scoppiata la guerra dell’estate scorsa. Quindi il Ministero israeliano ha bloccato la loro partecipazione. Il progetto in quel momento era fallito. Poi il conflitto è scemato e con l’aiuto di persone che si sono dimostrate simpatizzanti, del Comune di Gerusalemme, ce l’abbiamo fatta. Comunque considerato che i ragazzi scelti si sono offerti volontariamente, devi sempre ricordare loro il fatto che “se sei qui è perché lo vuoi fare, andiamo avanti!”

Qual è stato il momento più esaltante di questo percorso?
Sono tanti e spero che altri arrivino. Ovviamente, visto che siamo qui, ti posso dire che il giorno che mi è arrivata l’email dalla Universal che mi diceva che con gli U2 erano state superate le più rosee aspettative, e mi allegavano il contratto per la concessione dei diritti (anche quello oltre ogni possibile aspettativa)… beh, è stato esaltantissimo!
E’ stato un momento esaltante quando mi sono recato, a bordo di un autobus, a prendere una delle delegazioni in arrivo a Milano. Mi sono ascoltato un po’ di musica in cuffia e ho pensato che il più era fatto (sbagliatissimo!). Esaltanti tutti i viaggi che ho fatto in questi Paesi, e il rapporto con i ragazzi e con i professori.

Perché proprio U2 e Pearl Jam?
Non sono solo band che ascolto. Sono band che amo da moltissimo tempo e che sapevo essere sensibili a questi temi. Speravo che se questo progetto fosse arrivato direttamente a loro avrei avuto, forse, qualche possibilità.

Come hai scelto le canzoni?
Sunday Bloody Sunday, lo puoi capire. Inoltre è sempre stata una delle mie favorite degli U2. C’è da dire che era stata scelta per i ragazzi nord-irlandesi, ma poi, quando ho rivelato i titoli agli insegnanti, durante una riunione, la prima sera, c’è stato uno dei primi problemi. La professoressa di Belfast (della scuola protestante) ha avuto quasi un attacco di panico e ha detto che non potevano farlo. E’ stata davvero male, poverina. Ha telefonato alla preside che le ha intimato di lasciare il progetto se la canzone fosse stata quella. A nulla è valso spiegare che il testo della canzone e le parole sono di unione; la conoscono molto bene quella canzone, ma il Bloody Sunday è una ferita che ha lasciato troppi strascichi. Addirittura temevano ritorsioni contro la scuola. Quindi non ho potuto far altro che cambiare con Staring At The Sun che era destinata agli Israeliani e Palestinesi. Staring At The Sun perché cercavo una canzone degli U2 che parlasse di guerra o di pace, ma che non citasse situazioni reali e riconducibili ad altre realtà (Bullet per esempio). C’era Jerusalem, ma era troppo difficile per questo lavoro. Staring lasciava libertà di interpretazione, anche visiva, ai ragazzi. Avevo chiesto anche Miss Sarajevo, ma per quella non sono arrivati i diritti, probabilmente perché di mezzo c’erano altri autori/case editoriali/discografiche. Quindi ho pensato ad un altro dei miei gruppi preferiti. Anche qui, la casa discografica mi ha fatto capire che i Pearl Jam sono una band difficilissima e non hanno mai concesso (così mi è stato detto) diritti in Italia, ma il fatto che gli U2 avessero già dato due canzoni, ha fatto spingere la richiesta in avanti.

Ci puoi raccontare la reazione del management U2 alla tua richiesta di utilizzare dei loro brani?
I miei contatti sono stati con la casa discografica italiana che come spiegato mi ha molto scoraggiato. Ma io avevo già fatto tradurre il progetto e davanti alle mie insistenze non hanno potuto rifiutarsi di mandarlo. Hanno però messo le mani avanti “Non riceverai nessuna risposta, o se la riceverai, sarà un no tra molti mesi”. I mesi sono passati, ma è stato un sì che ha lasciato sbalordita pure la Universal Italia. Poi ho avuto un contatto telefonico con il management. Sono rimasto molto colpito dal fatto che sapessero chi ero e del progetto. Ho avuto conferma che è stata proprio la band a decidere, e questo mi ha fatto molto piacere. Adesso ho appena mandato a loro i video, ma mi hanno detto che sarà dura che riescano a vederli a breve perché sono molto impegnati nel tour e (se ho capito bene) a provare nuove canzoni.

Il messaggio con cui, sul nostro Forum, hai raccontato la realizzazione del tuo progetto, è il contenuto più apprezzato dai nostri iscritti. Durante questi mesi di lavoro, hai capito che stavi rappresentando molte persone convinte come te della necessità di un vero dialogo per superare i conflitti?
Ho capito che mi ero imbarcato in qualcosa di molto grande, molto più grande di quello che già sapevo. Non sono uno sprovveduto (credo), ma toccare da vicino certe situazioni ti dà il senso della proporzione. Ho avuto paura più volte che tutto andasse in malora. Ho pensato di essere stato un incosciente, ma poi ho pensato che è stata una fortuna esserlo. Comunque, sì. Oltre ai tanti problemi, si incontrano tanti “amici” che capiscono quello che stai facendo e decidono di darti una mano: per esempio, prima ho citato alcuni responsabili del Comune di Gerusalemme, ma che dire degli U2 o i Pearl Jam? O più semplicemente i presidi, i ragazzi e chi ha finanziato e patrocinato tutto questo.

L’aver puntato su linguaggi universali come la musica e il disegno, ha facilitato i ragazzi a collaborare fin da subito, facendo dimenticare la questione “politica”?
Nel caso di Sarajevo sì. Nel caso del Nord Irlanda ha aiutato perché la canzone, come dicevo, stimola l’immaginazione visiva e i due gruppi si sono concentrati assieme più su questo elemento, usandolo anche per superare eventuali contrasti. Per l’altro gruppo è molto interessante notare nel documentario come, finché i ragazzi cercano di dare una spiegazione alle parole di Sunday Bloody Sunday tutto va bene. Quando poi si toccano problemi concreti e politici (come l’esistenza del muro), tutto degenera velocemente.

Quali saranno i prossimi passaggi? Avete intenzione di coinvolgere anche altre città nel progetto, o di pubblicare i video anche su internet?
Ieri sono tornati i ragazzi, e staranno qui cinque giorni assieme, durante i quali faranno tante altre cose. Domani presenteremo i tre video e il documentario che ripercorre tutte le tappe di questo lavoro, comprese le mie trasferte. Su internet non si possono mostrare. Per il momento il contratto non prevede la divulgazione sul web (e infatti anche il trailer non c’è più), ma proiezioni pubbliche come festival cinematografici, rassegne culturali ecc. Sì. Quindi il lavoro girerà. Ci sono già richieste, ad esempio a novembre saremo a Sarajevo.

Le canzoni scelte sono molto significative anche a livello di testi. C’è un verso che useresti per riassumere questa esperienza?
Sicuramente “and the battle is just begun”. Anche se qualche volta pensavo di aver fatto cento, subito dopo mi trovavo a dover fare mille. Questa frase e la grinta che ci mette Bono quando la canta, mi ha spesso dato molta energia. Inoltre ben rappresenta quanto difficile sia lo sforzo per creare dei ponti: buttarli giù è molto più facile.

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