Il palco del Joshua Tree Tour 2017: intervista a Willie Williams

Dopo quella a The Edge e ad Adam che vi abbiamo proposto nei giorni scorsi continua il ciclo di interviste di Rolling Stone alla band e al suo entourage in vista del The Joshua Tree Tour 2017.

Questa volta è il turno del mitico William Peter Charles “Willie” Williams, leggendario e storico stage designer degli U2.

Willie è stato il creatore di tutti i palchi della band sin dai tempi dell’October Tour, passando per lo ZooTV, Popmart e 360° Tour.

Quando hai sentito parlare di questo tour per la prima volta?
Nel corso delle prove per l’iHeartRadio Music Festival [che si è tenuto lo scorso 23 settembre, n.d.r.] e Dreamforce c’è stato un gran parlare in merito, ma inizialmente l’idea era di celebrare l’anniversario e fare uno o due concerti, uno negli USA e uno in Europa. Questa è stata la prima volta in cui quest’idea è entrata nel mio radar. Sono piuttosto contento che sia diventato un vero e proprio tour.

Era solo pochi mesi fa
Stavamo provando a settembre.

Come si è passati dall’idea di uno o due show a mettere in piedi un intero tour?
Non lo so. Non ti voglio mentire. La maggior parte di quello che ho letto su questo processo l’ho letto questa settimana.

Sarà un tour negli stadi. Il palco sarà simile a quello del Joshua Tree Tour 1987 o sarà completamente diverso?
[Ride] Beh, sì e no. Abbiamo riguardato il palco originale che era davvero minimale. Lo definivamo minimalismo massimale. In Europa non c’era alcun supporto video. In alcuni degli stadi più grandi negli Stati Uniti iniziammo ad utilizzare degli schermi, ma solo dietro al mixer, quindi solo metà dello stadio poteva vedere delle riprese. Fu incredibile come la musica, solamente la musica, riempì quegli stadi.

Ora, di certo, le aspettative in merito alla produzione sono stratosfericamente più alte di quelle di 30 anni fa. Ma abbiamo riguardato il palco originale ed era davvero carino. Ero piuttosto attratto dall’idea di prendere spunto dagli stage tradizionali utilizzati nei festival, cosa che infatti fu il nostro palco, in pratica una scatola con colonne di casse su ciascun lato. E ci siamo detti: “Cosa puoi fare con questo? Questo è l’idea più fuori moda immaginabile per un tour, ma con gli occhi degli U2 possiamo farci qualcosa di interessante?”

La verità è che la visuale non funziona più. Quando realizzi un proscenio [l’edificio scenico dei teatri dell’antichità classica, parzialmente rientrante, n.d.r.] in uno stadio la visibiltà è di soli 150/160°. Devi poter avere qualcuno in piedi ai lati del palco che possa comunque vedere tutto, così abbiamo lasciato perdere. Abbiamo colto lo spirito di quel tipo di CinemaScope, un enorme immagine stratchata del Joshua Tree e abbiamo lavorato su quello. Ma certamente ci saranno delle riprese da mostrare.

Sto guardando la mappa dei posti a sedere. Il palchetto avrà la forma di un albero?
Oh, è una mappa pubblica?

Sì è su Ticketmaster.
[Ride] Oh, ok, cacchio. Sì. Se è su Ticketmaster non mi preoccupo nel risponderti. Ci stiamo acnora lavorando, ma un’ombra dell’albero sarà nel prato.

Pensi che i video conterranno delle riprese degli U2 nel deserto?
Sicuramente, anche se non c’è molto a riguardo. Quello che abbiamo è stato usato e strausato. E di certo, come ho detto prima, coglieremo senz’altro lo spirito e l’estetica di quei footage. Non ci inventeremo una nuova grafica per quell’album e quel periodo. È semplicemente una pellicola in 8 mm che Anton Corbijn filmò durante gli scatti per la copertina dell’album. E l’abbiamo usata fino alla morte [ride]. C’era anche nello ZooTV. Ma lo spirito ci sarà sicuramente, anche se come è stato ditto dalla band lo scopo non è ricreare il Joshua Tree Tour. Non è nostalgia. È un guardare all’album con gli occhi di oggi e rendersi conto come sia clamorosamente attuale, nonostante fosse stato inciso durante l’era Thatcher/Regan. Come Bono e The Edge hanno detto è come se il mondo avesse chiuso un cerchio in un modo bizzarro.

Qui potete trovare l’intervista originale.

Lascia un commento