Spiderman Turn Off The Dark, la recensione di U2place!

Un carissimo amico di TwoEdges del nostro Staff, ha avuto l’opportunità di vedere il musical di Spiderman Turn Off The Dark a New York City, ed ecco quella che è la sua recensione che vi proponiamo in esclusiva tramite U2place! Grazie!

 

Qualsiasi commento riferito ad un musical non può prescindere dall’analisi di tre elementi: quello scenico, quello musicale e quello narrativo.
In “Spiderman – Turn Off The Dark” vanno trattati proprio in questo ordine, in base anche  alle sensazioni che possono rimanere impresse allo spettatore medio quando esce da quel teatro.

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Partendo quindi dal preponderante impatto visivo, la sensazione con cui si esce da teatro è riassumibile in una domanda: “Ma quanto lavoro ci deve essere dietro per fare funzionare così perfettamente gli infiniti ingranaggi che compongono una macchina complicata come questa?”.

Probabilmente “Spiderman – Turn Off The Dark” sta ai musical come lo Zoo TV degli U2 è stato ai concerti rock. Innovazione, sgomento e divertimento. Ma, sia chiaro, il paragone si ferma alla portata degli effetti speciali ed in particolare allo sforzo della produzione, lasciando invece da parte la “concettualità” che stava dietro allo Zoo Tv che qui, come si vedrà, non può raggiungere quei livelli.

Si è di fronte quindi, forse per la prima volta a Broadway, ad un vero musical a 360° dove in tempi serratissimi e senza un attimo di pausa si susseguono continue sorprese: perchè la scena non è solo sul palco, ma anche sugli spalti, dietro e sopra gli spettatori ed è pure letteralmente “dentro” il palco, con idee scenografiche che proiettano lo spettatore in una sorta di terza dimesione.

Infatti non abbiamo solo le classiche dimensioni orizzontali e verticali, ma è come se si fosse davanti ad uno schermo televisivo dove tutto è possibile grazie ad una sorta di 3D suggerito dalla scenografia, in cui lo spettatore può facilmente immedesimarsi con un minimo sforzo d’immaginazione.

In questo senso gli ideatori dello show sono riusciti a creare la profondità nelle scene: ci si trova per esempio di fronte ad un finto grattacielo meccanico che riproduce il Chrysler Building di New York che emerge dritto verso la platea, mentre quello che normalmente farebbe da sfondo alla scena diventa la base del grattacielo stesso composto dagli incroci delle strade di New York, con tanto di mini automobili, così piccole perché è come se fossero viste con un’inquadratura dall’alto pur rimanendo seduti sulle proprie poltrone. In questo modo (semplice come intuizione, ma sicuramente impegnativa da realizzare) si crea nello spettatore la sensazione di guardare verso il basso, permettendo agli stessi personaggi di “cadere” giù dal grattacielo mentre in realtà vengono solo tirati orizzontalmente sul fondo del palco da dei cavi.

Ecco, i cavi: sono loro i grandi protagonisti, rappresentando l’aspetto scenico che sicuramente rimane più impresso: solo due “semplici” tiranti elastici (che tanto semplici non devono essere, ma l’attrezzatura che ci sta dietro è sapientemente nascosta dai costumi) che escono dai fianchi dei protagonisti permettendo loro di volare in ogni angolo del teatro come accade nel duello aereo a due tra Spiderman e Goblin che avviene sopra le teste degli spettatori in platea come di quelli in balconata, con atterraggi qua e là tra le poltrone.

Ma la cosa più impressionante è come tutto quello che sembra “libertà” sia invece un preciso canovaccio, che nella sua naturalezza racchiude in realtà le difficoltà di un balletto aereo e richiede organizzazione per acrobazie eseguite alla perfezione da numerosi stuntman che, mascherati, ricoprono i ruoli di Spiderman e Goblin. I movimenti da fare sono calcolati al millimetro, non lasciando nulla al caso con riferimento alle mosse da fare, alle zone in cui volare ed ai punti dove atterrare, con la presenza discreta ma fondamentale della crew che si fa trovare ovunque pronta per attaccare/staccare i ganci e rimediare a qualsiasi imperfezione.

Il fascino sta nel fatto che gli attori possono spuntare da ogni punto del teatro e la scenografia dà l’impressione di poter ricreare qualsiasi situazione. Infatti sono da notare i continui cambi di scena, impressionanti per numero, qualità ed originalità: solo per citarne alcuni, vengono in mente una tipica palazzina di New York con la scaletta esterna che sale sospesa nel vuoto sopra le teste degli spettatori, una gigante discoteca tecnologica con enormi vidiwall alti quanto il palco che si sovrappongono tra loro, il laboratorio in cui viene geneticamente modificato il Goblin con tanto di macchinari avveniristici, la cameretta in 3D di Peter Parker in cui per la prima volta scopre di potersi arrampicare sui muri volando letteralmente da una parte all’altra del palco, le numerose apparizioni altamente scenografiche di Aracne con dei costumi eccezionali, ecc ecc.

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Passando ora all’elemento musicale, la sensazione con cui si esce da teatro è riassumibile in una affermazione: “Che bello sentire queste canzoni non cantate dagli U2”.

Per spiegarsi, le canzoni sono belle, piacevoli, anche originali ed ogni tanto fuori dagli schemi “u2ici”: c’è lo pseudo rap di “D.I.Y. World”, c’è “Rise Above” che ritornando più volte come tema conduttore ha nel finale una epicità da brividi, c’è il ritmo incalzante di “Bouncing Off The Walls” che non può non rimanere impressa nella testa e non esser canticchiata fuori dal teatro, c’è la romantica melodia di “Picture This”, c’è la divertente funky-filastrocca “Freak Like Me”…

C’è di tutto insomma, ma è strettamente legato (come giusto che sia) a doppio filo con lo spettacolo visivo del musical, e quindi estrapolate dal loro contesto e sentite qua e là cantate anche dagli U2 stessi, le canzoni perdono di impatto, risultano più banali di quello che sono e sembrano non poter vivere di vita propria senza quei colori, quelle suggestioni e quelle coreografie che solo la presenza a teatro possono regalare, avendo davanti agli occhi la fatica, il sudore e la partecipazione di tutti i protagonisti, tra l’altro veramente bravi e con voci potenti, calde ed efficaci.

“Freak Like Me” può essere cantata solo dal Goblin (interpretato da quello che probabilmente è migliore tra gli attori, impossibile non “affezionarsi” al suo mostro verde), come “Rise Above” è epica solo se cantata da Peter Parker appena smascheratosi da Spiderman…ovvio che il merito dei compositori c’è, come è ovvio che forse non si è davanti a brani che faranno la storia dei musical come “Memory” di Cats, ma l’effetto finale è fresco, piacevole, divertente e prosegue felicemente quella strada di “svecchiamento” del concetto di musical intrapresa a Broadway negli ultimi anni, grazie anche ad una orchestra sia classica che moderna (quindi con la fusione di violini e chitarre, trombe e batteria, violoncelli e bassi, tastiere e corni francesi) che esegue tutti i pezzi rigorosamente dal vivo e collegata in sala via monitor, dai quali si vede per tutta la durata dello spettacolo la direttrice intenta a dirigerla.

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Per concludere si giunge all’elemento narrativo (riferito sia alla storia in sé che ai testi delle canzoni), ritenuto da molti il più debole. In questo caso la sensazione con cui si esce da teatro è riassumibile in una domanda: “Ma in fin dei conti cosa si pretende da una storia che non è altro che quella dell’Uomo Ragno?”.

Infatti si tratta sostanzialmente della trasposizione in musical di quella storia già affrontata nella triologia portata al cinema che rimarrà impressa soprattutto per gli effetti visivi e non per messaggi filosofici o di contenuto.

Qui è la stessa cosa anche perché, lo concedano i fan più sfegatati del fumetto e nel caso perdonino l’ignoranza, la storia che è alla base di tutto contenuta appunto nei fumetti non può proporre eccessivi spunti riflessivi ed oltretutto il concetto di musical come “divertissement” non aiuta in tal senso. Tra l’altro, nota per gli appassionati, gli stessi fumetti sono eccellentemente citati nelle scenografie che più di una volta riproducono disegni di grattacieli, stanze o automobili che ricalcano le matite della Marvel.

Purtroppo nè in sala né nel book ufficiale vengono proposti i testi delle canzoni, quindi ovviamente una parte del discorso va rimandata ad una loro più attenta analisi in quanto dal vivo si perde molto, ma la storia in sé è divertente, scorre agevolmente, anche i dialoghi sono semplici da seguire (non a caso questa versione è stata completamente “rivisitata” in seguito alle critiche iniziali) e spesso riscontrano le risate sentite del pubblico .

Ma nonostante questa leggerezza quasi “dovuta”, nella trasposizione in musical sono riusciti a dare ampio risalto alla figura di Aracne (a cui viene consegnata addirittura l’apertura dello show) che nello spettacolo appare numerose volte, sempre dall’alto come a sottolineare la sua figura mitologica, e che con voce angelica e sublime assume il ruolo, insieme al tema di “Rise Above”, di filo conduttore: pare quindi francamente difficile chiedere di più a quanto messo in scena rispetto alla storia trattata.

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Per quanto riguarda gli aspetti cosiddetti “u2ici”, la sensazione con cui si esce da teatro è riassumibile in una considerazione: “per fortuna nel musical gli U2 rimangono solo un divertente giochino per appassionati”, essendoci sì degli indizi disseminati qua e là, ma senza alcun rilievo sulla trama.

Certo le influenze nelle melodie si posso ovviamente riscontrare, ma questa volta, forse proprio perché nate per altro e cantate da altri, fa quasi piacere vedere che le canzoni vivono di natura propria e che prescindono dal gruppo per appartenere solo al musical in sé ed al massimo ai due autori. Naturalmente la schitarrata di The Edge la si riconosce, certi vocalizzi ce li si può immaginare fatti da Bono, ma alla fine non è importante.

Molto più divertenti sono i suddetti “indizi” alla Hitchcock, come un’autoriadio da cui esce New Year’s Day, una discoteca dove si balla sulle note di Vertigo, un dialogo dove ci si lamenta per una domenica infernale definendola una “sunday bloody sunday” con tanto di lunga pausa allusiva ed annessa risata del pubblico, ecc ecc…

Però in conclusione il giudizio per una volta dovrebbe prescindere dagli U2 e riguardare solo Bono e The Edge, cosa obiettivamente difficile visto il loro ruolo preponderante all’interno del gruppo: per intenderci è come giudicare i Beady Eye prescindendo dagli Oasis, quasi impossibile.

Ma se si prova a vederla come una sorta di opera prima di un “nuovo duo” che non deve fare i conti con chi negli anni ha scritto testi come quelli di Bad, Running To Stand Still, Until The End Of The World, The Wanderer o Please, o musiche come quelle di Out Of Control, Exit, One o Mofo, allora si potrà apprezzare la genuinità e la freschezza di un musical che non deve apportare per forza chissà quale nuovo bagaglio culturale a chi assiste o conosce la loro musica, così come non deve per forza arruolare nuove schiere di fan a digiuno di U2 o disillusi dagli stessi.

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Riassumendo questo musical ha probabilmente l’obiettivo di incuriosire, divertire, sorprendere e far passare più di due ore in un batter d’occhio con la voglia che lo show continui ancora: e in questo senso, anche dagli applausi scroscianti, dagli occhi divertiti e felici dei bambini e degli adulti e dagli elementi scenici, musicali e narrativi che si amalgamano perfettamente, si può dire che il risultato è sostanzialmente, piacevolmente e “disincantatamente” raggiunto. E, senza troppi ragionamenti, la sensazione complessiva con cui si esce da teatro è riassumibile in un aggettivo: “spettacolare”.

 

 

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