Willie Williams, terza parte della sua intervista sul Tour

Willie WilliamsDopo la prima e la seconda parte, eccoci al seguito dell’intervista fatta a Willie Williams da Live Design.

Live Design: Quali sono state per te le sfide nella fase di progettazione?

Willie Williams: Penso che la sfida più grande sia quella di non ripeterci malgrado “regole d’ingaggio” così rigide. I requisiti dell’amplificazione, dei monitor e così via, sono tutt’altro che insignificanti, e ci vuole coraggio a incasinare la struttura prestabilita. Per tanto tempo abbiamo proposto di fare a meno delle postazioni che nascondono la crew e le attrezzature, ma in definitiva, questa scelta rende le cose semplicemente brutte da guardare.  I requisiti tecnici per una performance degli U2 sono molto concreti e lo spazio del palco è rimasto più o meno lo stesso negli ultimi 25 anni. Di tour in tour, abbiamo un po’ “strizzato” le forme, ma la configurazione di base del palco e delle postazioni è sempre quella. Alla fine ho capito che non ha senso opporsi a tutto questo, così ho optato per un approccio tematico, con un palco che richiama il loro periodo “Innocent”. Il palco principale è infatti lo stesso del Joshua Tree. E’ esattamente lo stesso, una caratteristica che molti fan degli U2 hanno notato.

LD: E delle sfide o modifiche nelle prove? Le idee che erano state immaginate sono state poi realizzate?

WW: Una delle cose più notevoli a proposito dello show è che quasi tutte le idee di cui abbiamo discusso fin dall’inizio sono state realizzate. Alla fine alcune di esse sono state realizzate in modi diversi rispetto alla concezione iniziale, ma la loro essenza è rimasta intatta. E’ una cosa che mi ha dato grande soddisfazione. La storia della lampadina, la camera da letto da ragazzo, la strada dove sei cresciuto, La violenza continua e la voglia di scappare verso il mondo là fuori hanno visto molte diverse riletture nel corso del tempo, ma alla fine tutto è ancora lì.

LD: Parliamo dell’impianto luci e degli impianti che hai scelto.

WW: Le luci sono davvero molto semplici e – non ridere – realmente molto minimali in un’ottica di copertura totale dell’arena. A prima vista, il palco appare assolutamente tipico con un palco A ed un palco B con una passerella che li unisce. Comunque le diverse parti del palco sono usate in momenti diversi e ogni area, inclusa la passerella e lo schermo, sono punti per esibirsi. La superficie completa del palco comporta la necessità di alcuni impianti, ma sono usati in modo molto sobrio.

Di conseguenza, mi sono ritrovato a lavorare in modo miniale su grandi proporzioni. Come sembra spesso che faccia, ho scelto ancora di progettare un ambiente con davvero scarse possibilità per posizionare gli strumenti di illuminazione. Quando lo schermo è abbassato, taglia lo spazio in due, rendendo molto difficile illuminare le zone del palco. L’impostazione richiede altezze davvero elevate per la visuale e così, affrontando la questione, l’impianto luci si è di fatto progettato da solo intorno ai parametri fissati.

L’aspetto dell’impianto è molto semplice; ci sono tre travi sopra il palco principale e altre travi che seguono il bordo dell’arena. L’idea del palco principale è di puro rock ‘n’ roll, richiamando la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli ’80, che è dal punto di vista tematico dove si posiziona quella parte dello show. Abbiamo in pratica creato un club punk e volevo indurre quel tipo di stato d’animo con l’allestimento.

Al livello del pavimento ci sono delle stroboscopiche vintage Atomic [Martin Professional] con schermi mobili e moduli illuminanti DWE per quel fantastico effetto ambra. Che i LED siano dannati. La cosa che apprezzo di più è l’imperfezione di questi impianti.

L’impianto più caratteristico è la striscia fluorescente a mo’ di gabbia, ispirata da quelle che puoi trovare in un sottopasso o in un losco bagno pubblico.  All’inizio, insistevo sul fatto di utilizzare vere strisce fluorescenti, ma alla fine abbiamo evitato per via dei conseguenti problemi di ritardo. Alla fine ho accettato di usare delle copie dei freddi LED bianchi ma solo alla condizione che ogni unità avesse un solo circuito e che non fosse in grado di cambiare colore.

I miei progettisti/operatori, Alex Murphy e Sparky Risk, ci hanno messo una vita a costruire sequenze manuali per simulare lo sfarfallio casuale dei neon e gli effetti non lineari delle strobo. Sparky mi ha reso fiero di lui, nella sua scelta di adottare i comandi manuali per gestire gli scatti della strobo: sembra di viaggiare alla velocità della luce…  Tutto sembra molto più organico e umano di qualsiasi cosa abbiate visto uscire da una macchina per effetti.

Le luci Bad boys e le Best Boys della PRG (apparecchi di illuminazione ndr), sia direzionali che diffuse, sono il nostro cavallo di battaglia. Le ho scelte in primo luogo per l’effetto finale, in considerazione della distanza della proiezione e del mio desiderio di ridurre al minimo il numero di impianti. Mi piace mantenere il tutto chiaro e senza fronzoli. Le tre travi sopra il palco ospitano un totale di solo 16 impianti, che è meno di quanti ne avevamo nel War Tour del 1983!!

I fondografi (tipi di proiettori detti occhio di bue ndr) sono sempre stati un problema per questo progetto, visto che il termine “platea” in questo caso perde di significato. Chris Conti della PRG qualche tempo fa mi ha mostrato un faretto Bad Boy, che ha catturato la mia attenzione. L’idea di essere in grado di circondare l’arena con faretti che svolgessero la funzione dei  faretti frontali sembrava una buona soluzione e la continuità di colori, gli schermi paraluce, l’attenuazione delle luci, lo zoom e così via che avremmo avuto a disposizione utilizzando i Bad Boys erano davvero affascinanti. Ero nervoso nel “mettere tutte le uova nello stesso paniere”, perché se il risultato non fosse stato all’altezza delle attese, sarei stato completamente fregato.

Chiesi a Chris se ci fosse un limite per quanto riguarda il formato della lampada e mi disse che c’era. Quindi gli chiesi di tentare un esperimento, mettendo lampade sempre più luminose in un faro Bad Boys finchè non si fosse arrivati a fonderle, e che poi avremmo accettato qualunque risultato fosse arrivato prima di quella soglia. Andò così e ci mise a disposizione un impressionante componente “truccato” che Allen Branton, che aveva interrotto le prove per aiutarci con l’illuminazione della camera, lo giudicò almeno l’equivalente di un Super Trooper (faro della Strong ndr).

Alex Murphy  sceglie e gestisce le luci e, curiosamente, l’unico problema che abbiamo avuto è che erano troppo chiari. Nel complesso  li abbiamo utilizzati a circa il 40% delle loro possibilità, ma non ho ancora avuto il coraggio di dirlo a Chris Conti.

 

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