Zoom on Music: “Led Zeppelin IV” dei Led Zeppelin

Led Zeppelin IV
Led Zeppelin

Anno: 8 novembre 1971
Etichetta: Atlantic Records
Prodotto da: Jimmy Page
Registrato: Island Studios, Londra; The Rolling Stones Mobile Studio
Formazione:
Jimmy Page – chitarra elettrica, chitarra folk, chitarra pedal steel, voce secondaria;
Robert Plant – voce principale, armonica;
John Bonham – batteria, timpani, voce secondaria;
John Paul Jones – basso, chitarra folk, mandolino, organo, pianoforte, voce secondaria.
Partecipazioni:
Ian Stewart – piano (in Rock and Roll, non accreditato)
Sandy Denny – voce (in The Battle of the Evermore)

LATO A
1. Black Dog – 4:57
2. Rock and Roll – 3:40
3. The Battle of Evermore – 5:52
4. Stairway to Heaven – 8:03

LATO B
1. Misty Mountain Hop – 4:38
2. Four Sticks – 4:45
3. Going to California – 3:31
4. When the Levee Breaks – 7:08

“C’è una signora che è convinta che tutto ciò che luccica sia oro…e sta comprando una scala verso il paradiso!”

Siamo nel 1971, magnifico anno dal punto vista musicale. Escono grandi album come Fireball dei Deep Purple, Close To The Edge degli Yes, Meddle dei Pink Floyd ma anche autentici capolavori come Aqualung dei Jethro Tull, Imagine di John Lennon, Pearl (postumo) di Janis Joplin, Who’s Next dei Who…
Ma soprattutto (e sono passati esattamente 40 anni, ma non si direbbe!) l’8 novembre esce quello che da molti è considerato l’apice assoluto della fantastica carriera dei Led Zeppelin, il loro quarto album, senza nome, tanto che viene ribattezzato in diverse maniere: IV, Led Zeppelin IV, Zoso…
Un disco in cui ci sono il beat e la passione blues dei ’60, il folk e il paganesimo magico di tanto progressive dei ’70, la furiosa energia che ha condotto il rock a farsi prima “hard” e poi “heavy” fino al “metal”; ma anche l’amore per percorsi esotici di “world music” che poi culminerà nella grandissima Kashmir (come amava dire Jones, l’essenza degli Zeppelin potrebbe essere definita come “Stairway To Kashmir”).

I Led Zeppelin si sono formati pochi anni prima, nel 1968, hanno poi esordito alla grande con 2 album di successo, hanno conquistato soprattutto l’America, percorsa in lungo e in largo per una lunga serie di concerti anche non a supporto degli album pubblicati.
D’altronde la line up è stratosferica, composta da 4 artisti tra i migliori (per molti proprio i migliori) nel loro ruolo, con una notevole esperienza maturata nei club britannici sin dai primissimi anni ‘60: Robert Plant con il suo canto leonino alla voce, John Paul Jones con le sue grandiose geometrie al basso, John “Bonzo” Bonham con le sue veementi battute alla batteria e il suo leader e fondatore, Jimmy Page, alla chitarra con i suoi distorti arabeschi.

All’inizio del 1971 i Led Zeppelin si trovano però di fronte a un bivio. La svolta acustica di Led Zeppelin III non era stata granché apprezzata dal grande pubblico, soprattutto americano, che voleva un altro Led Zeppelin II e non aveva gradito l’ammorbidimento di atmosfere del Dirigibile. Jimmy Page aveva cercato in tutti i modi di togliere dal gruppo l’etichetta prestigiosa ma riduttiva di alfieri del nascente heavy rock soprattutto con i sapori folk-lisergici che ammantavano buona parte dell’album. Non volevano essere solamente i barbari saccheggiatori del blues (una delle accuse più frequenti della carta stampata) del famigerato “bombardiere marrone”, ma molto di più.
I Led Zeppelin restano feriti dalle pesanti critiche, ma per fortuna reagiscono alla loro maniera. Si rinchiudono presto in studio, lavorano alacremente su alcuni pezzi già abbozzati e su altri totalmente nuovi. Il quarto disco sarebbe dovuto essere la fusione delle due anime della band, quella elettrica e quella acustica, la personale rivincita di Jimmy Page.
Alla fine il quartetto esce realizzando la propria opera più completa, un eclettico amalgama di influenze e di stili che mette tutti d’accordo e spalanca ai suoi autori le porte dell’eternità artistica. È il perfetto album d’intrattenimento rock, ideale per una generazione che iniziava a lasciare dietro di sé l’utopia libertaria degli anni ’60, ma anche eccellente antidoto alla crisi sociale dei ‘70 con il suo immaginario di fuga e la sua musica dinamitarda ed esoterica.
Quando l’8 novembre del 1971 l’album esce nei negozi, ci si accorge immediatamente come i quattro abbiano voluto riaffermare, fin dall’iconografia, il loro rifiuto di ogni elemento extra-musicale, in aperta polemica con la stampa britannica che aveva ironizzato sulla loro condotta da rockstar viziate. Per loro volontà, dopo durissimo tira e molla con la casa discografica (alla fine, per vedere realizzato il loro progetto, i Led Zeppelin dovettero ricattare l’Atlantic: o accettavano la loro idea così com’era o non avrebbero avuto i nastri), la copertina, non indicando né nome né titolo, evita volontariamente ogni riferimento alla band. Successivamente Jimmy Page avrebbe detto: “Decidemmo che sul quarto album avremmo deliberatamente giocato a minimizzare il nome del gruppo, e che non ci sarebbe stata alcuna informazione sulla copertina esterna. Nomi, titoli e cose simili non significano nulla… Ciò che importa è la nostra musica. Decidemmo che ci saremmo affidati esclusivamente alla musica.
E come sempre hanno fatto, non vengono pubblicati singoli di lancio…
Una scelta in stridente contrasto con i dogmi del marketing musicale dell’epoca e che parrebbe proprio una strategia suicida…invece l’accoglienza del pubblico è straordinaria e anche la critica (soprattutto col passare del tempo) osanna il nuovo lavoro: in poco tempo vengono vendute milioni di copie e anche in Inghilterra l’album raggiungerà in fretta la vetta di tutte le classifiche.

Parte nel modo più classico l’album più classico degli Zeppelin, con riff a mitraglia e tipico decollo zeppeliniano: Black Dog è un portentoso rock-blues elegante caratterizzato da un complesso arrangiamento, con ben quattro chitarre sovraincise nell’assolo, introdotto dalle grida luciferine di Robert Plant, griffato dalla poderosa batteria di John Bonham e vivacizzato dai taglienti e fiammeggianti singulti di un Page in stato di grazia. È un brano dall’andamento discontinuo, i cui saliscendi sono scanditi dai continui botta e risposta tra la voce e l’immortale giro di basso.
Rock And Roll, un indiavolato pezzo che si snoda su cadenze rock‘n’roll irrobustite da un vigore hard, è quello che dice il titolo: un genere musicale compresso in meno di 4’, una botta esplosiva già dall’inizio, con una possente introduzione di batteria che lascia spazio all’eccellente chitarra di Page. La canzone si incentra su un riff blueseggiante con andamento movimentato, reso ancor più energico dai picchi vocali di Plant accompagnati da un basso rotolante, al quale si aggiunge poi uno scoppiettante organo suonato da Ian Stewart dei Rolling Stones, presente alla jam session in cui il brano viene alla luce.
Dopo due momenti così esplosivi, i Led Zeppelin piazzano il primo collegamento con il folk visionario dell’album precedente, nato come pezzo strumentale allorchè Jimmy Page imbracciò il mandolino per disegnare siderali ghirigori nordici: The Battle Of Evermore è una ballata da antologia, una battaglia cosmica, tenebroso e tragico duetto tra l’ugola di Plant che interpreta il Principe della Pace e la cristallina e purissima voce di Sandy Denny, cantante dei Fairport Convention (primo e unico caso di una voce diversa da quella di Plant su di un disco degli Zeppelin) che rappresenta la Regina della Vita. Le dinamiche doti vocali sono così potenti da fondersi magnificamente con gli altri strumenti e diventare a loro volta un quarto strumento; la fusione è talmente perfetta da non riuscire a volte a distinguere lo strumento dalla voce.

Arrivati a questo punto ci si rende conto che quello ascoltato finora non è altro che un elegante tappeto rosso di tessuto raffinato, da percorrere prima di arrivare alla maestosa, leggendaria Stairway To Heaven, perfetta fusione tra la ballata folk e il classico rock, il capolavoro per eccellenza, l’acme compositivo, il supremo connubio tra anima acustica ed elettrica, il passaporto per l’eternità del Dirigibile zeppeliniano. Se non è il pezzo più famoso della storia del rock poco ci manca; certamente è tra quelli più ascoltati e sviscerati, anche per i celebri strascichi satanici sui presunti messaggi subliminali di Page, noto seguace di Aleister Crowley.
È impossibile riuscire a carpire i segreti di questo incantesimo alchemico, un brano di ben otto minuti, in cui si susseguono differenti fasi.
Si parte con il celebre arpeggio di chitarra acustica che traccia un’armonia discendente e toccante accompagnato dal magico flauto medievale, mentre la voce pacata di Plant si adatta perfettamente al contesto; nella seconda, il suono si fa più vigoroso, con l’arpeggio della chitarra a dodici corde che si erge a più riprese, distaccata da quella a sei corde e l’entrata in scena della batteria, che impone un ritmo più acceso per poi imboccare un brivido ascensionale, in cui la ballata si trasforma in un potente hard-rock marchiato a fuoco dal divino e visionario assolo di Page, fino all’esplosione rock collettiva finale, scandita dal fenomenale “treno” di Bonzo con gli ultimi versi urlati da un Plant più che mai scatenato e che sul finire riporta a quello stato di magica trance dell’inizio.
Dall’onirico inizio all’elettrica fine, il pezzo trasmette magia pura.
Per la stesura del testo, Plant si ispirò ai miti di “Magic Arts In Celtic Britain”, un libro di Lewis Spence mentre la melodia principale è in realtà “rubata” da Taurus, brano degli Spirit (gruppo di rock americano degli anni sessanta.
Su cosa significhi il testo si è dibattuto parecchio e le interpretazioni sono varie. Chi ha creduto alla presenza di presunti messaggi subliminali satanici, rilevati ascoltando alcuni versi al contrario, ha dato di questo brano una visione estremamente cupa e priva di una conclusione morale se non addirittura una chiamata verso una nuova fede fortemente nichilista.
Per altri invece il senso è totalmente opposto. La donna cinica e materialista può essere vista come un’allegoria della società, il cui individualismo ed edonismo rischiano di far “rotolar via” l’umanità. Dando però ascolto alla melodia di un pifferaio che ci potrà guidare fino alla ragione, alla fine ci sarà la possibilità stando uniti e pensando gli uni agli altri di salvarsi e di non rotolar via (“when all are one and one is all, to be a rock and not to roll“). Emerge quindi una forte speranza di salvezza per l’uomo, basata sul senso di unità e di attenzione al prossimo e alla natura, in antitesi con l’individualismo materialista professato dalla signora rappresentata.

Finisce qui una prima facciata insuperabile, a cui segue per forza di cose una di qualità inferiore, ma probabilmente più sperimentale.
Si ricomincia con il rock più cadenzato di Misty Mountain Hop, il cui testo è ispirato al Signore Degli Anelli di Tolkien, e che ha un’aria informale, con i cori “ubriachi” accompagnati dal protagonista assoluto, l’organo di John Paul Jones che anticipa certe soluzioni future del gruppo. La chitarra e la voce vanno dietro al giro dell’organo e Plant sembra che reciti una filastrocca.
Si continua poi con Four Sticks, quattro bacchette, ovvero quelle usate da Bonzo per suonare questo pezzo in cui la fa da padrone. Le percussioni del batterista sostengono continuamente il ritmo e il riff di Jimmy Page risulta ossessivo, sino ad esplodere in un giro più solare, un’aria orientaleggiante ben inserita nella forte ritmica delle percussioni.
La vocazione a creare ballate sopraffine è confermata da Going To California, inebriata da soffici tocchi west coastiani, altro richiamo all’album precedente. È l’espressione dei due mondi degli Zeppelin: da una parte la tranquilla e verde Inghilterra, fatta di famiglia e tradizione, con i suoi paesaggi country in cui le chitarre acustiche si perdono, a volte, in un vortice idilliaco e quasi irreale; dall’altra lo squallido film di eccessi e fantasia dei romantici giorni in tour, con la voce e la chitarra che raccontano con inusuale dolcezza e romanticismo la vita dei quattro dall’altra parte dell’oceano. Gli echi e i sussurri di Plant sono un omaggio con ogni probabilità a Joni Mitchell (la ragazza “con l’amore negli occhi e i fiori tra i capelli” di cui fantastica il testo), una delle sue beniamine. L’ultimo brano dell’album appartiene alla matrice originaria degli Zeppelin: When The Levee Breaks, un susseguirsi di temi blueseggianti con magnifici arpeggi e ritmo spacca cervelli che si fondono nella rielaborazione più oltraggiosa, ma forse anche meglio riuscita, del sentimento blues del gruppo. Il tema principale viene variato in un susseguirsi di interventi strumentali, con un suono pesante e lontano della batteria di Bonham (per la riproduzione dei particolari riverberi della parte ritmica, la batteria fu posizionata vicino a una scala, con microfoni situati a diverse altezze) che spiana la via alle virtuose figure torbide e fumose di Page e alle frasi d’armonica di Plant che dà quella sensazione di ritorno agli anni venti.

Esistono dischi talmente importanti da oltrepassare i confini del genere di appartenenza, divenendo così patrimoni della musica mondiale. Per lo splendore intrinseco dell’album, per l’alone di mistero che lo circonda, per la presenza di una tra le canzoni più famose al mondo il quarto lavoro dei Led Zeppelin è uno di questi.
Si può chiamare Led Zeppelin IV o semplicemente IV, Four Symbols, Runes, Zoso, Untitled, Stairway to Heaven o come volete ma non ha importanza, perché un disco perfetto come questo non ha bisogno di essere chiamato, ma deve essere solamente ascoltato per poter rimanere sulla scala per il paradiso!
E noi passiamo come un soffio sulla strada, con le ombre piú grandi dell’anima, e là cammina una signora che tutti conosciamo, che risplende di luce e vuole dimostrare che tutto ancora si trasforma in oro“.

Michele – mikilab

APPROFONDIMENTI
(cfr. il sito http://www.metallized.it)

COPERTINA
Uno dei punti sui quali i Led Zeppelin non scesero a compromessi fu la copertina. Il progetto del complesso prevedeva la totale assenza del loro monicker, del titolo del disco e di qualsiasi sigla o numero di catalogo. L’unico riferimento alla band sarebbe stato il nome di Jimmy Page come produttore nella busta interna, dove sarebbe anche stato stampato per la prima volta il testo di una loro canzone, Stairway To Heaven. L’idea del chitarrista era di riuscire a vendere la musica, non il nome della band. Chiaramente l’Atlantic era contraria, ritenendo la cosa un suicidio commerciale. Ma le cose peggiorarono quando il gruppo presentò la grafica che aveva pensato per l’album: sulla copertina vi sarebbe stato raffigurato il quadro di un vecchio che trasporta delle fascine di legna appeso ad un muro scrostato. Aprendo completamente il vinile e guardando insieme il fronte ed il retro, l’immagine sarebbe stata completa: il muro diroccato che s’interrompe e ci fa scorgere un panorama cittadino moderno. Nella copertina interna vi sarebbe stato raffigurato per lungo (quindi per vedere la figura bisognava girare la custodia) l’eremita dei tarocchi in cima ad un dirupo, con un discepolo alla base ed una città circondata da mura sulo sfondo. Tutto era pervaso da un forte simbolismo, che Page spiegherà in seguito:
“Il vecchio che trasporta la legna è in armonia con la natura. Prende dalla natura e restituisce alla terra. E’ un ciclo naturale… La sua vecchia casetta viene abbattuta e lui è costretto a vivere in questi ghetti urbani… L’eremita regge la luce della verità e dell’illuminazione per un giovane ai piedi della collina. Coloro che conoscono le carte dei tarocchi, sanno cosa significa l’Eremita. [ndr. Solitamente rappresenta un ammonimento a non procedere su di una data strada senza riflessione e contemplazione]”.

Le uniche altre scritte presenti sarebbero stati i titoli delle canzoni e quattro misteriosi simboli che i musicisti si erano scelti per rappresentarli: Plant una piuma in un cerchio, Bonzo tre cerchi che s’intersecano, John Paul Jones tre ovali che s’intersecano e Page un misterioso glifo che sembrava raffigurare la parola Zoso (il chitarrista sembrò confutare l’ipotesi che si trattasse di una runa islandese, ma di certo non si sa niente). L’album sarebbe stato senza titolo e proprio i simboli contribuirono a creare i diversi modi in cui chiamarlo: dal classico Led Zeppelin IV, arrivando a Four Symbols, Four Runes e Zoso, specifico richiamo allo “stregone” Page. Addirittura s’ipotizzò un’uscita in doppio vinile oppure in quattro ep da due canzoni l’uno, ma le idee vennero accantonate per paura che aumentassero troppo i prezzi. Alla fine per vedere realizzato il loro progetto i Led Zeppelin dovettero ricattare l’Atlantic: o accettevano la loro idea così com’era o non avrebbero avuto i nastri.

SATANISMO
Nel corso degli anni i detrattori della musica rock hanno cercato di trovare messaggi subliminali negli album suonandoli al contrario. I Led Zeppelin non furono un’eccezione e secondo gli “esperti” nel testo di Stairway To Heaven sarebbe nascosta questa frase:

« Oh ecco il mio dolce Satana, (la cui) unica piccola via non mi renderà triste, il cui potere è sacro … egli darà (il) progresso dandoti il 666…. (in una) baracca di attrezzi ci farà soffrire tristemente… »

Oh questo è per il mio dolce Satana, colui il cui piccolo sentiero mi renderà triste, con i suoi poteri è Satana
Lui ti ucciderà con il suo 666 e in un capanno degli attrezzi ci farà soffrire, triste Satana.

Il testo ascoltato nel senso normale già alluderebbe al bifrontismo delle parole. Dice infatti: “Cause you know sometimes words have two meanings”.
La tesi è sempre stata respinta dai diretti interessati, che hanno anche ricevuto accuse riguardanti i simboli che si erano scelti: secondo gli accusatori sarebbero simboli di magia nera e quello di Page sarebbe la firma di un patto demoniaco. Anche sul significato dell’Eremita ci sono diverse congetture, dato che alcuni sostengono che possa simboleggiare il tentativo di dominare Satana.
Un’altra voce riguardante il quarto lavoro dei Led Zeppelin afferma che tra i solchi dell’album vi sia la previsione della morte di John Bonham, che avverrà nove anni dopo.

Personalmente ho sempre ritenuto che queste voci siano sorrette dall’autosuggestione e dalla voglia di trovare un’accusa nei confronti di una delle band più famose del mondo. Che Page fosse appassionato di un certo tipo di argomenti è risaputo, ma le accuse sono esagerate. L’unica magia di cui il chitarrista era capace era quella che realizzava con la sei corde e gli artifici che era in grado di attuare in studio che ne giustificano il soprannome di “stregone”.

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