U2.com intervista Dave Fanning: “Gli U2 erano sulle nuvole”

Il sito ufficiale U2.com, in concomitanza con l’uscita della sua autobiografia dal titolo ‘The Thing Is…’ di cui Bono ha scritto l’introduzione, ha pubblicato la prima parte dell’intervista fatta al famoso giornalista musicale e dj irlandese Dave Fanning.

Fanning ha sempre avuto un rapporto molto speciale con la band fin dagli inizi. Nella prima parte dell’intervista si parla soprattutto di come è cambiato il ruolo del DJ e della musica in generale negli ultimi anni mentre nella seconda parte, che verrà pubblicata a breve, si parlerà invece del particolare rapporto avuto con gli U2.

Potete leggere l’articolo a questo LINK. Qui di seguito ve ne proponiamo la traduzione:

U2.com – “Gli U2 erano sulle nuvole…”

Come tutti sanno Dave Fanning, giornalista rock e conduttore radiofonico irlandese, è stato il primo a trasmettere il primo singolo di un album degli U2.

Dave è un amico della band fin dagli inizi anche se quando li vide suonare per la prima volta disse che “c’erano altre 5 o 6 band che mi piacevano di più”. Ma, ricorda, “loro avevano una convinzione nelle proprie capacità che nessun altro possedeva.”

In concomitanza con la pubblicazione del suo libro ‘The Thing Is…’ abbiamo raggiunto Dave per fargli qualche domanda sul ruolo e sul potere sempre minore del DJ, come la musica è cambiata in questi anni e su alcune delle sue interviste più memorabili. (Nella seconda parte dell’intervista, che pubblicheremo tra qualche giorni, Dave parla più in dettaglio del suo rapporto con gli U2)

Complimenti per la tua autobiografia! Sei contento di averla scritta?

Sono veramente contento! All’inizio pensavo “E’ stupido. C’è veramente bisogno di un libro su Dave Fanning, scritto da Dave Fanning?” Ma ho capito che ci sono molte persone che sono cresciute in Irlanda negli anni 60, 70, 80 e 90 che possono ritrovarsi in questo libro.

Ma c’è più di questo. Non solo hai avuto la possibilità di entrare in contatto con i più grandi artisti di quei decenni ma hai anche avuto un ruolo molto importante nella cultura popolare, a cominciare dalla radio pirata…

Ero il pesce più grande in un piccolo stagno, ed è per questo che ho potuto avere tutte queste opportunità. Non perché fossi bravo o meno, ma perché rappresentavo l’Irlanda per la stampa ed i media. Potevo offrire articoli sulla carta stampata, radio e tv. Robbie Williams dava mezzora ad ogni Paese ed ho avuto quella dedicata all’Irlanda perché potevo offrire tutte queste tre opzioni. Non esagerate e non fatemi passare per Sir Dave Fanning, era solo il mio lavoro.

Ma tu sei stato in grado di mettere in pratica e sfruttare queste possibilità. Hai aiutato molte band ad entrare in contatto col loro pubblico, inclusi gli U2…

Senza dubbio. Ma le cose erano diverse una volta.
Il potere e l’influenza di un DJ come John Peel è molto diminuito adesso. Se vuoi trovare qualcosa di nuovo lo puoi fare subito per conto tuo. Non c’è più bisogno di qualcuno che ti guidi e ti consigli nella ricerca.

Molte cose si sono perse. La maggior parte delle band non hanno il tempo di crescere. Gli U2 hanno realmente iniziato a decollare con The Unforgettable Fire, il 4° album!, ma la cosa importante è stata riuscire ad arrivare a quel punto, perché poi c’è stata la svolta: all’improvviso è arrivato The Joshua Tree.

Queste cose non succedono più adesso e penso che sia molto triste. E’ tutto così effimero.

Hai mai dovuto mettere della musica seguendo una playlist?

Non mi è mai successo in tutta la mia vita. Mai. Noi eravamo considerati gli esperti e ci lasciavano liberi di fare per conto nostro.

Quanto è ancora importante la musica nella cultura popolare?

Bella domanda. Penso che la sua incidenza sia diminuita. Una volta, quando vedevo qualcuno che portava una borsa con dei dischi, dovevo sapere cosa c’era dentro ed in base a quello avrei potuto stabilire che tipo di persone fossero! Degli idioti piuttosto che delle persone in gamba…

Avere accesso alla musica era difficile. Anche solo poterla ascoltare. La trasmissione ‘Sounds Of The Seventies’ della BBC Radio 1 era molto importante, anche più di Peel. Ascoltavo sempre il concerto live dalle 18 alle 19.30 anche se la band che suonava non mi piaceva.

Adesso ci sono 40 canali che trasmettono musica tutto il giorno e se vai al supermercato ci sono tv che trasmettono un video dell’ultima cover band dei Black Eyed Peas. Cristo! Come siamo arrivati a questo? Non si ascolta più la mitica Radio Lussemburgo sotto le coperte in attesa di scoprire quale sarà la prossima canzone trasmessa.

Forse sono semplicemente troppo vecchio…

I ragazzi di oggi sono la ‘Generazione X-Factor’?!

Sono stupito dalla quantità di persone che guardano X-Factor. E’ così attraente per tutti. Gente di ogni età compresi i rockettari più incalliti…proprio non capisco.

C’è Louis, che mi piace molto, che è sempre più patetico ogni settimana. Poi Simon Cowell che dice “Tu sei l’essenza di questo show”. No, non è vero. Si tratta solo di te, Simon…

Cosa rende speciale un’intervista secondo te?

Non ne sono sicuro. A volte lo capisci e basta. Qualche giorno fa ho intervistato Ron Wood e non è andata benissimo. Ma di solito più grande è il personaggio che intervisti e migliore è l’intervista stessa. Hanno cose più interessanti da dire, stanno al gioco, e sono contenti se vedono che non gli stai facendo le solite domande scontate.

Sei mai stato colpito da una di queste star?

La mia intervista a Joni Mitchell è stata la migliore di tutte per me, perché lei è venuta nello studio. Ho capito di essere un po’ in soggezione. Per me lei è stata la cosa più grande negli anni 70 ed averla nello studio per fare la sua prima intervista negli ultimi 6 anni…non so ancora bene perchè abbia accettato di farlo.

Ma c’è sempre qualcosa di più grande di una star: sei sempre preoccupato di far andare tutto nel modo giusto. Una volta sono andato a Cincinnnati per intervistare Peter Frampton e poi sono andato dritto a Los Angeles per i Fletwood Mac. Doveva per forza andare tutto bene in quelle circostanze. E riuscire a far filare tutto liscio è sempre stata la cosa più importante indipendentemente dalla persona seduta davanti a me.

Di solito sono un po’ più deciso e sfacciato verso la fine dell’intervista ed è per questo che sono così ‘arrabbiato’ con Lou Reed. Ha interrotto l’intervista a 20 minuti dalla fine e sarei veramente voluto andare con lui altrove.

Gli U2 non erano ancora delle stars quando li hai incontrati per la prima volta e non c’era niente che ti avesse fatto pensare che lo sarebbero diventati, non è vero?

Si. C’erano altre 5 o 6 band che mi piacevano molto di più. Gli U2 cercavano di fare qualcosa di nuovo che suonasse in modo diverso da quello che si sentiva allora e non era quello che volevo sentire nel 1978. Gli Undertones facevano buona musica pop; i Rats rubacchiavano dagli Stones ed un altro migliaio di persone facevano della musica pop pungente ed aggressiva. La musica degli U2 era eterea, su tra le nuvole. Ed io pensai “Gesù! Chi si credono di essere!?”

E’ più facile essere cool per gente come Jack White o Jimmy Page perché la loro ‘coolness’ si basa sul blues, qualcosa che viene dal passato. Edge invece stava provando a portare la musica nel futuro e questa è una cosa molto più difficile da realizzare e da vendere.

Fonte: U2.com

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