
Approfittiamo del lunghissimo interregno tra Songs of Experience e il prossimo album di inediti – che dovrebbe vedere la luce, facendo i debiti scongiuri, alla fine di quest’anno –, per tirare un po’ le somme sull’andamento commerciale degli U2 nel nuovo millennio: la popolarità della band è rimasta intatta rispetto al glorioso passato? Le nuove modalità di fruizione della musica (streaming) hanno penalizzato oltremodo Bono e soci? Le strategie commerciali adottate si sono sempre rivelate adeguate? Tutti interrogativi ambiziosi, a cui cercheremo di dare una risposta in questo articolo, snocciolando numeri e focalizzandoci in particolare sul nostro paese.
Prima di iniziare, una breve, ma ineludibile, premessa. I dati che leggerete si riferiscono esclusivamente alle vendite “fisiche” degli album. In primo luogo, perché i numeri desunti dallo streaming e dal download digitale non sono certo rimarchevoli per gli U2, così come per la maggior parte degli artisti coevi alla band irlandese: a parte le raccolte, infatti, solo The Joshua Tree, All That You Can’t Leave Behind e Achtung Baby vantano dei totali soddisfacenti. In secondo luogo, perché, in ogni caso, i dati digitali non consentono il raffronto tra i vari paesi, che è ciò che a noi qui interessa.
Ora sì, possiamo cominciare.
Dopo il “flop” di Pop nel 1997 (6,7 milioni di copie), gli U2 avevano bisogno di un disco capace di restituire al gruppo la primazia sul mercato discografico. Il sagace e lungimirante Paul McGuinness giocò bene le sue carte, inaugurando il periodo delle raccolte nonostante la malcelata riluttanza, verso tali uscite, professata per tutta la prima metà degli anni ‘90. Alla fine, ne saranno pubblicate tre in otto anni. Di queste, il The Best of 1980-1990 (18,5 milioni di copie), incardinato sulla prima fase della carriera degli U2, culminata con il controverso Rattle and Hum, denotò un rendimento straordinario, centrando l’obiettivo di fidelizzare nuovamente stuoli di fan delusi dal disco che aveva sancito l’epilogo della pur feconda “era elettronica”.
Il terreno per l’album successivo era stato così dissodato. Ora veniva il tempo della semina. E quando il 30 ottobre 2000 uscì All That You Can’t Leave Behind, fu chiaro a tutti che gli U2 avevano abdicato al ruolo di innovatori che si erano ritagliati nel decennio precedente, per riabbracciare sonorità più familiari, spoglie e forse più affini al loro repertorio. Il disco ottenne un notevolissimo successo: guadagnò la vetta delle classifiche in 32 paesi, vendette 12,5 milioni di copie e fruttò ben sette Grammy Awards. Peraltro, ed è bene rimarcarlo, è l’unico disco nella storia che può fregiarsi del Grammy “Record of the Year” per due brani dello stesso album (Beautiful Day e Walk On).
Analizziamo, quindi, nel dettaglio il rendimento dei lavori “recenti” degli U2, considerando un campione dei paesi europei più “rappresentativi”. Cosa intendiamo? Be’, posto che nel vecchio continente la band di Dublino ha fatto registrare numeri altissimi un po’ ovunque, noi ci concentreremo sulle nazioni in cui la popolarità del gruppo tocca i picchi maggiori.
Partiamo quindi da All That You Can’t Leave Behind.
– Regno Unito: 1,200,000
– Italia: 650,000
– Francia: 580,000
– Germania: 525,000
– Olanda: 290,000
Scorrendo il breve elenco, osserviamo che nel biennio 2000/2001 l’Italia si stagliava subito dietro al Regno Unito come il paese più prolifico in termini vendite, soverchiando sia la Francia (che vanta una popolazione maggiore di circa il 16%), sia la Germania (che ha addirittura il 44% di abitanti in più).
Cambia poco nel 2004, con la pubblicazione di How to Dismantle an Atomic Bomb, undicesima fatica in studio della band. Trainato dalla hit Vertigo, il disco bissò il successo del predecessore, vendendo leggermente meno (10,2 milioni), ma sbancando ugualmente ai Grammy Awards, con otto titoli inanellati, tra cui il più prestigioso di tutti: “Album of the Year”. Prima di allora, gli U2 erano riusciti nell’impresa di conseguire tale riconoscimento solo con il monumentale The Joshua Tree. Vediamo i numeri di How to Dismantle an Atomic Bomb.
– Regno Unito: 1,300,000
– Italia: 550,000
– Francia: 525,000
– Germania: 400,000
– Olanda: 200,000
I dati si discostano poco da quelli precedenti. Così come i rapporti di forza tra i paesi selezionati. L’Italia mantiene saldamente il ruolo di feudo “U2-ico”, confermando la seconda posizione.
Le gerarchie iniziano a vacillare nel 2009, con No Line on the Horizon, zavorrato dal debole apripista Get on Your Boots, con cui gli U2 cercarono di emulare la formula vincente di Vertigo: riff serrato e accattivante, steso, però, su un tessuto lirico molto più farraginoso rispetto al singolo del 2004. Il disco vende 4,7 milioni di copie: un dato inferiore alle aspettative, sul quale, tuttavia, incide anche il brusco calo del mercato discografico, depotenziato dalla pirateria e dalla crescita delle piattaforme digitali. Un crollo di quasi il 50% rispetto all’inizio del millennio. No Line on the Horizon risulterà comunque il settimo album più venduto del 2009. Entriamo nel cuore statistico del disco:
– Regno Unito: 400,000
– Francia: 350,000
– Germania: 260,000
– Italia: 240,000
– Olanda: 170,000
Nella lotta al piazzamento d’onore dietro al Regno Unito, l’Italia viene detronizzata dalla Francia e superata anche dalla Germania. Inoltre, l’Olanda accorcia notevolmente le distanze dal nostro paese.
Songs of Innocence esce nel 2014 e si lascia dietro una densa scia di polemiche per la famigerata questione dell’automatico inserimento dell’album nelle librerie degli utenti di iTunes. Ciò nonostante, il tredicesimo lavoro in studio superò la soglia di 1,3 milioni di copie. Un dato
straordinario, se pensiamo alla disponibilità gratuita dell’album nella piattaforma digitale per oltre un mese. La geografia delle vendite, tuttavia, subì qualche scossone. Il Regno Unito perse lo scettro in Europa a causa delle aspre (e pretestuose, concedetecelo) critiche relative al trasferimento di residenza fiscale della “U2 Limited” nei Paesi Bassi. Un’azione volta a sfuggire alla stretta varata dal governo irlandese sui proventi delle royalties. In molti rammenteranno che la contestazione divampò anche in quel di Glastonbury, nel 2011, allorché venne issato un gonfiabile con la sarcastica domanda “U pay tax 2?”. Per tacere delle illazioni legate al coinvolgimento (?) di Bono nella lista nera dei “Panama Papers”, che grande eco ebbe proprio nella terra d’Albione. Da quel momento, la resa commerciale nel Regno Unito è calata drasticamente.
Colpo di coda, invece, del nostro paese. Sarà stato per il successo del 360° Tour, che toccò l’Italia nel biennio 2009/2010 in tre diverse città (Milano, Torino e Roma), o per l’ottimo riscontro del singolo Ordinary Love nel 2013 (ingresso al #1 della FIMI e permanenza di oltre due mesi in top 10), oppure per la massiccia campagna promozionale a favore di Songs of Innocence, fatto sta che il disco vendette ben 120,000 copie: un numero sufficiente a superare la Germania, ma non la Francia, che da allora troneggia incontrastata in Europa (l’unico album del passato in cui i transalpini hanno prevalso sul Regno Unito, seppur di poco, è stato War). Ecco il dettaglio di Songs of Innocence:
– Francia: 180,000
– Italia: 120,000
– Germania: 100,000
– Regno Unito: 80,000
– Olanda: 50,000
Giungiamo così all’ultimo – con materiale inedito, perlomeno – album in studio, Songs of Experience. Erano trascorsi poco più di tre anni dall’uscita del disco “gemello”, ma per il mercato discografico parve un secolo. Il fenomeno “streaming” era deflagrato in modo dirompente, egemonizzando l’intero indotto musicale, con ripercussioni più che tangibili, sia a livello di vendite, sia di attendibilità delle classifiche. Dall’acquisto della musica, si è passati al consumo della stessa. E fa tutta la differenza del mondo: sono gli ascolti, adesso, a farla da padroni. E questi, non è un mistero, premiano gli artisti giovani e più “cool” del momento, derubricando anche icone sacre come gli U2 a mere comparse.
“Quanto ha venduto quell’album?”
Si tratta di una domanda che già nel 2017 appariva anacronistica. E pure a voler rispondere, occorre comunque addentrarsi in un fitto ginepraio di laboriosi – e non immediatissimi – distinguo. Innanzitutto, bisogna separare le “pure vendite” dalle “equivalenze” (e ora vediamo subito cosa significhi). Nel novero delle prime rientrano le “vendite fisiche” (l’acquisto tradizionale di un album su supporto fisico: cd, vinile, musicassetta) e quelle “digitali” (l’acquisto di un intero album presso una delle tante piattaforme digitali disponibili). Le “equivalenze”, invece, sono state introdotte al fine di tradurre, virtualmente, in copie vendute, gli ascolti dello streaming e il download di singoli brani di un album. I criteri di conversione sono mutati nel corso degli anni e risultano, oltretutto, diversificati da paese a paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’attuale equivalenza dice che per ottenere una copia venduta di un album servono 1,250 ascolti in streaming (complessivi o di una singola traccia del disco) da parte di utenti abbonati (“utenti premium”), ovvero 3,750 da parte di utenti non a pagamento (“ad-supported”). Parimenti, dieci download
digitali, complessivi o di una singola traccia, equivalgono ad una copia venduta dell’album in cui è contenuta. In parole povere, negli States, per ottenere l’equivalenza di 100 mila copie vendute di un album, saranno necessari 125 milioni di ascolti in streaming da parte di utenti “premium” o 375 milioni da parte di “ad supported”. Questo in teoria spicciola. Sul fronte dello streaming, infatti, il discorso potrebbe complicarsi spiegando che, in molti paesi, onde scongiurare che le vendite di un album riflettessero esclusivamente il successo di un singolo, sono stati attuati dei criteri correttivi: ad esempio, in Italia, si escludono gli streaming totalizzati dal primo brano più ascoltato che eccedono il 70% del totale streams dell’album stesso (un singolo pezzo, dunque, non può avere un’incidenza superiore al 70% degli ascolti totalizzati dall’album). Ma non è questa la sede per approfondire la materia.
Songs of Experience ha venduto oltre 1,6 milioni di copie. Considerando il tracollo degli acquisti “fisici” e la soccombenza degli U2 sul versante streaming, è un buon dato.
Come si è comportato in Italia? Qui iniziano le note dolenti. Benché certificato doppio platino come Songs of Innocence, il disco ha venduto 85,000 copie, ossia 35,000 mila meno del predecessore (che era stato anche rilasciato su iTunes in forma gratuita, come sopra ricordato). Ed è stato l’unico paese, tra quelli che abbiamo selezionato, a cedere terreno rispetto al 2014: segno eloquente che la band ha “perso” per strada dei fan che costituivano lo zoccolo duro. Ad ogni buon conto, nel 2017/2018 la Francia si conferma leader nel vecchio continente, seguita da Regno Unito e Germania, doppiando l’Italia. L’Olanda, in cui a inizio millennio i lavori della band vendevano poco più di 1/3 rispetto a noi, dimezza quasi il distacco. Ecco il quadro relativo a Songs of Experience.
– Francia: 180,000
– Regno Unito: 120,000
– Germania: 105,000
– Italia: 85,000
– Olanda: 50,000
L’ultimo album, Songs of Surrender (poco meno di 300,000 copie), non fa altro che ribadire il trend emerso nel 2017. In Italia il disco si issa in vetta alla FIMI, contrariamente a Songs of Experience, ma ciò non segna un’inversione di tendenza: in primo luogo perché la pubblicazione avviene a marzo, e in seconda battuta perché non ci sono state, in quella settimana, altre uscite che potessero contendere il primato agli U2.
– Francia: 60,000
– Germania: 40,000
– Regno Unito: 35,000
– Italia: 14,000
– Olanda: 8,000
Uno specchietto grafico sintetizzerà, forse meglio delle parole, tutti i dati sin qui riportati.
L’interrogativo che ci poniamo in quest’articolo, e che giriamo a voi, è il seguente: gli U2 stanno un po’ arrancando in Italia? Intendiamoci, a scanso di equivoci: nulla di drammatico, eh. Il gruppo gode sempre di larghi consensi da noi. Dal vivo può tuttora riempire e infiammare stadi o palazzetti per settimane e settimane. Però è innegabile che sotto il profilo delle vendite qualcosa si sia incrinato. Ed è qualcosa che trascende l’ordinario calo fisiologico associato ad una band attempata, che il prossimo anno celebrerà i cinquant’anni dalla sua formazione. Si consideri anche il modesto rendimento delle edizioni celebrative di All That You Can’t Leave Behind (#26 nella FIMI; #20 senza computare lo streaming) e How to Dismantle an Atomic Bomb (#28 nella FIMI; #12 senza streaming). E qui bisognerebbe chiamare in causa management e casa discografica, non sempre artefici di strategie irreprensibili. Ad esempio, in occasione del recente ventennale di How to Dismantle an Atomic Bomb, non sarebbe stata più efficace un’edizione “deluxe” (due cd) comprensiva di How to Re-Assemble an Atomic Bomb (la vera chicca di quest’uscita), anziché relegare lo “shadow album” come “stand alone” per il Record Store Day, o inserirlo nelle esose versioni “super deluxe”? O ancora, a distanza di quasi due anni dalla magica serata al San Carlo di Napoli, non sarebbe finalmente il caso di licenziare lo sbandierato film sul “Book Tour” di Bono, così da far assaporare anche a chi non c’era le indelebili emozioni vissute nei teatri americani ed europei? E infine, in occasione della pubblicazione del prossimo album, non sarebbe forse auspicabile accordare maggior spazio promozionale al nostro paese, che rappresenta ancora, nonostante tutto, un fertile terreno di vendite per gli U2, rispetto alle fugaci apparizioni a “Che tempo che fa”? Il discorso è semplice: se fino al 2014 l’Italia poteva essere considerata un porto sicuro, un feudo inespugnabile, dove i lavori degli U2 viaggiavano con il pilota automatico, ora è il caso che il management entri nell’ordine di idee che un’attività promozionale ben congegnata risulta, anche da noi, quanto mai necessaria per consentire alla band di ripristinare le gerarchie del passato.
E allora vi chiediamo: a voi come piacerebbe che gli U2 promuovessero il prossimo album? Diteci la vostra!
Articolo di Gianluigi Cima
Grazie ad Adele Sforza per la collaborazione