Andy Barlow, uno dei produttori di Songs of Experience, è stato intervistato dalla celebre rivista statunitense Billboard. Ecco la traduzione di questa interessante chiacchierata dalla quale emergono molti aspetti del lavoro che ha portato all’ultimo album degli U2.
Per sua stessa ammissione, Andy Barlow è un grande fan degli U2 più o meno da sempre. “Achtung Baby è stato forse l’album che mi ha fatto desiderare di essere un produttore musicale” dice l’artista e produttore britannico, prendendosi un meritato riposto tra le date del tour dei Lamb, la band elettronica che ha formato con la cantante Lou Rhodes. Mentre riflette sulla sfida unica di co-produrre gli U2, Barlow rivela a Billboard: “Sembrava che ogni giorno potesse succedere qualcosa di eccezionale”
Billboard: Qual è stato il primo contatto con gli U2?
Andy Barlow: I Lamb stavano suonando in Russia e il mio manager mi chiamò proprio al momento di salire sul palco e così capii che si trattava di qualcosa di importante. Disse: “Sto per dirti qualcosa che non puoi rivelare a nessuno”. Io risposi “Lo posso dire a Lou (la cantante dei Lamb ndr.), vero?” E lui disse “No, non lo puoi dire a nessuno. Devi promettere. Ho firmato un accordo di non divulgazione. Ho appena parlato con il manager degli U2 e si domandavano se ti andasse di recarti a Monaco e fare una prova di due giorni.” La cosa strana è che quando avevo 19 anni avevo avuto una premonizione circa il fatto che un giorno avrei prodotto un album degli U2. E la cosa ancora più strana è che 24 ore prima di ricevere quella telefonata, un mio amico mi ha chiesto: “Qual è la prossima cosa che vorresti fare?” E io risposi “Mi piacerebbe fare un album degli U2, non sarebbe fantastico?” Letteralmente 24 ore più tardi il mio manager mi ha chiamato con quell’offerta.
B: Diversamente dal passato, gran parte di Songs of Experience è stato scritto e registato in studi improvvisati mentre la band stava provando per i concerti o durante il tour. Qual è stata l’idea alla base di questo processo?
AB: Non avevano davvero mai fatto una cosa come questa prima. Di solito l’approccio di Bono prevede che quando un tour è terminato e tutto il divertimento e la confusione del tour sono finiti, quello sia il momento di mettersi seriamente a scrivere musica. Il suo atteggiamento questa volta è stato: se prendiamo qualcuno mentre siamo in giro e iniziamo a scrivere, nel momento in cui ci metteremo a lavorare all’album, avremo già una forma e un’idea di base e non avremo lo stesso tipo di pressione. Quindi è quello che abbiamo fatto.
Dopo Monaco, mi hanno chiesto di andare a Vancouver per sei settimane per un’altra prova e alla fine di queste settimane, mi è stato offerto il lavoro. Da quel momento sono andato in circa 10 paesi diversi nei successivi due anni, a volte per diversi mesi di fila quasi mai davvero in veri studi – forse il 10% del tempo. Il resto era lavorare in camerini o alberghi o palazzi dove Bono e la band erano ospiti. Avevamo preparato un equipaggiamento abbastanza completo, seppur limitato, e facevamo qualsiasi cosa ci venisse in mente.
B: Qual è stato il progetto inziale del disco e come si è sviluppato nel tempo?
AB: All’inizio ho lavorato per lo più con Bono. Il resto della band era come “Bono, sei fuori di testa. Siamo già molto occupati. Abbiamo tanti appuntamenti con la stampa da gestire. Stiamo cercando di provare e tu hai questo tizio con cui scrivi e registri. Che diamine! E’ folle”. Così per le prime settimane, eravamo in pratica solo io e Bono, a buttar fuori idee. Quando Bono scrive, non scrive direttamente i testi. Lo chiamiamo “Bongolese”. Di fatto butta già parole sulla vista o sulla tazza di caffè che sta bevendo – solo pura canalizzazione – e da lì trova cosa ci sta bene e lo mette insieme. Il giorno dopo, dopo aver ascoltato la linea vocale che abbiamo inventato, scrive il testo e, quando è esaltato per qualcosa, porta tutto a The Edge. Da lì in poi, è qualcosa di simile a un ping pong tra di loro – come Lennon e McCartney che si rimbalzano le idee l’uno dell’altro.
B: La band ha chiarito che gli avvenimenti politici hanno cambiato la direzione dell’album a metà della registrazione. Com’è stato dal punto di vista di un produttore?
AB: Il disco è cambiato radicalmente quando è stato eletto Trump. L’avevamo di fatto terminato e poi la band è arrivata il giorno dopo e ha deciso “Dobbiamo cambiarlo. Non è più pertinente”. Così ci abbiamo lavorato per un altro anno. Alcune delle canzoni sono finite ai margini. Abbiamo inserito alcuni nuovi branie un sacco di testi sono cambiati. Bono è piuttosto famoso per cambiare i testi fino all’ultimo minuto disponibile prima di renderli definitivi, e persino anche fino alla registrazione finale i testi possono essere ancora modificati. La band è stata semplicemente prolifica. Ad un certo punto avevamo 60 canzoni – alcune con i testi completi, alcune a metà – partendo dalle quali abbiamo dovuto restringere il campo.
B: The Edge ha anche parlato di un certo e non specificato “incontro ravvicinato con la mortalità” che ha vissuto Bono, che ha portato a rielaborare molti dei testi dell’album. Cosa puoi dire al riguardo?
AB: Non ne abbiamo fatto un grosso problema deliberatamente. Era quasi come lavorare in studio come al solito. Sapevo che stava succedendo qualcosa, ma sembrava che la musica stesse aiutando e così siamo tutti andati avanti con la musica. Per essere una persona così estroversa, Bono è davvero riservato.
B: Come ritieni che questi eventi abbiano influenzato il prodotto finale?
AB: Penso che abbiano reso l’album più umano e aperto. Se ripenso a cosa sarebbe potuto essere prima che arrivasse Trump, non avrebbe avuto la stessa umiltà che ha ora. Penso che abbia davvero portato a galla più aspetti umani della band. Penso sia il loro miglior album degli ultimi 20 anni. Il loro disco precedente Songs of Innocence aveva cinque anni di lavoro alle spalle e penso che possa essere stato “lavorato troppo”.
B: Dopo circa un anno di lavoro sull’album, la band è andata in studio con il produttore Steve Lillywhite per registrare nuovamente alcuni arrangiamenti delle canzoni prima di iniziare il loro tour per l’annivaersario di The Joshua Tree. Questo come ha modificato le cose?
AB: Fino a quel momento, molte parti – specialmente le parti di batteria di Larry Mullen Jr e di basso di Adam Clayton – erano state fatte separatamente. Poi la band ha stabilito: “In realtà, abbiamo il bisogno di allontanarci e suonare queste canzoni come una band. Poi dovremo registrare di nuovo queste performance con quella energia”. Questo li ha riportati a essere quattro ragazzi in uno studio che suonano insieme, che è poi lo spirito originale dei primi dischi.
B: Sei uno dei numerosi produttori che hanno lavorato a Songs of Experience, insieme a Jacknife Lee, Ryan Tedder, Steve Lillywhite, Paul Epworth e Jolyon Thomas, e sei citato nei credits di cinque tracce, incluse “Love is all we have left”, “Landlady” e “Red Flag Day”. Come hai trovato l’esperienza di lavorare insieme ad alcuni dei produttori di maggior successo al mondo?
AB: Devo dire dire che era piuttosto snervante. Non avevo mai lavorato prima a un disco con più produttori. E per 21 anni sono stato un artista molto attaccato alle proprie idee e canzoni, quasi fossero dei figli. Così quando gli altri produttori sono stati coinvolti e hanno cominciato a tagliare a pezzi i miei “figli”, ho dovuto rapidamente imparare a essere meno suscettibile a proposito delle mie idee. La cosa positiva è che eravamo tutti pronti a buttar giù idee per la band e da lì avrebbero poi potuto ricostruire come sarebbe andato a finire l’intero arrangiamento.
All’inizio il manager di allora Brian Celler mi ha portato fuori a cena e mi ha detto “C’è questa traccia “The little things that give you away”” e in pratica ha letto una lista dei produttori migliori al mondo – Brian Eno, Steve Lillywhite, Paul Epworth, Danger Mouse – che ci avevano lavorato. Ha detto: “La band sa che c’è una grande canzone lì dentro e se riesci a farla uscire dal “mondo delle idee”, avrai fatto qualcosa che nessuno di questi altri produttori è riuscito a fare”. Così è diventata una specie di missione personale. Anche se molti di noi ci hanno lavorato, Jolyon e io abbiamo davvero dato forma a quella canzone. Ha quel tipo di forma alla Lamb. Il modo in cui risale gli ingranaggi ed esplode alla fine.
B: Com’è lavorare con gli U2 se paragonato alla produzione di altri artisti?
AB: Se chiedi a qualsiasi produttore che abbia mai lavorato con gli U2, come li paragona a qualsiasi altra band, penso che ognuno direbbe la stessa cosa, ossia che nulla ti preparerà mai a lavorare con gli U2. Sono completamente differenti rispetto a tutte le altre band. Per mesi continui a incontrare nuove persone che non hai mai incontrato prima. E’ una specie di grande famiglia e tutti quelli che ci sono dentro sono i migliori in quello che fanno, dal loro video director al loro lighting designer, sono i migliori nel loro campo. Un altro aspetto è che spesso sono in studio giusto per un paio d’ore al giorno perchè sono impegnati a fare altre cose. Era completamente fuori dalla mia “zona di comfort”, fin dal primo primo giorno. Ma allo stesso tempo sono molto umili, molto pazienti, rispettosi, gentili, cortesi e davvero disponibili nel prendere decisioni. Molto spesso possono volerci mesi prima che un artista inizi ad aprirsi e fidarsi di te, mentre con Bono era praticamente successo dopo due minuti. Siamo andati subito d’accordo.
B: Che impatto ha avuto il lavoro con gli U2 sulla tua musica con i Lamb?
AB: Quando lavori con persone stimolanti è impossibile non esserne toccati. Basta vedere come Bono dà forma alle canzoni prima di scriverne i testi. Lo abbiamo fatto con i Lamb nell’ultimo disco, cosa che non abbiamo mai fatto prima e finora i risultati sono davvero buoni. Al momento stiamo lavorando a una traccia in cui ogni otto battute ci sono 10 cambi di tempo e a metà cambia anche la partitura. E’ davvero problematico e spigoloso, ma in qualche modo sembra anche scorrere bene. Dopo aver prodotto cose che devono avere anche una sorta di rilevanza commerciale, come David Gray o gli U2, ci permettiamo di sperimentare ancor di più in questo nuovo disco.