Parla The Edge: ‘Atomic Bomb’, gli inediti, il nuovo album e Larry
Ecco la traduzione di rollingstone.it di un’intervista di Andy Greene di RollingStone US.
Ciao Edge, dove sei?
A Dublino. Sono appena tornato da una session. Stiamo facendo dei demo e incidendo dei brani su cui abbiamo lavorato. Eravamo solo io e Bono, ma è stato molto divertente.
Ricordo che, ai tempi di How to Dismantle an Atomic Bomb, Bono ha detto che voleva fare un disco incentrato sulla chitarra e che per ispirarsi aveva ascoltato Who, Clash e Buzzcocks. Era così anche per te?
Sicuro. Penso che sentissimo che era il momento giusto per tornare a ciò che ci aveva ispirati in principio. Il primo lampo della vita creativa degli U2 si è acceso quando suonavamo insieme in una stanza ed esploravamo una forma-canzone molto semplice, basata su chitarra, basso e batteria. Le limitazioni che ne derivano sono una sfida interessante, perché devi lavorare solo con quegli strumenti e la dinamica diventa una parte importantissima del processo creativo. Così abbiamo affrontato l’album pensando consapevolmente a questi aspetti.
Come avete fatto a entrare in quell’ordine di idee?
Abbiamo fatto affidamento su quella che Daniel Lanois chiamava power hour. Indipendentemente da quel che stavamo facendo, una o due volte alla settimana ci chiudevamo tutti quanti in una stanza a improvvisare. E spesso ne uscivamo con due o tre buone idee. In quella situazione, devi rispondere in tempo reale a quel che fanno gli altri e loro devono reagire a quel che fai tu. I risultati possono essere sorprendenti. Credo si capisca da questa raccolta che quella era una versione degli U2 leggermente scombinata, ma in senso buono. È un tipo di caos positivo in cui, una volta individuato un elemento chiave, tutti si buttano a lavorarci su. Poteva essere una parte di batteria di Larry o una linea di basso di Adam o qualcosa che stavo facendo io, ma all’improvviso nasceva un intreccio.
Avete iniziato con il produttore Chris Thomas, che ha lavorato a uno dei più grandi dischi chitarristici di tutti i tempi, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols. Dopo alcuni mesi, avete chiamato Steve Lillywhite. Cosa ha provocato la vostra frustrazione durante le session con Thomas, tanto da spingervi a cambiare?
Con Chris avevamo fatto grandi progressi. E però quando abbiamo riascoltato i missaggi grezzi, ci siamo resi conto che, ogni volta che tentavamo di spingere di più sull’elemento del caos, ad avere la meglio era l’istinto di Chris di arginarlo. E quindi alcuni pezzi erano troppo puliti per noi. Così, senza prendere una decisione definitiva, ci siamo detti: proviamo a fare qualche session con Steve, vediamo se ci porta in una diversa direzione.
L’abbiamo fatto tendoci aperta ogni opzione, senza avere preso alcuna decisione, ma abbiamo cominciato subito a lavorare in modo più naturale, come succede con Steve con cui collaboriamo da tempo. È uno pratico, ci sostiene, è ottimista. Conosceva forze e punti deboli, per cui è sempre riuscito a tirare fuori il meglio senza lasciarsi condizionare dai nostri limiti. Durante la nostra fase post punk, questo era l’obiettivo principale: volevamo essere semplici e diretti.
Steve ha iniziato a lavorare con voi fin dai vostri primi passi. Vi conosce bene tutti e quattro.
Esatto. Insieme abbiamo sviluppato alcune grandi idee e creato grandi attacchi. Prendi Vertigo. Avevamo inciso la base, la chiamavamo Native Son. Era un pezzo convincente, un rock’n’roll bello solido. Steve ci ha detto: «Potete fare di meglio nella parte strumentale». Così l’abbiamo reincisa un giorno in cui Bono non c’era. Adam, Larry e io siamo andati in studio e abbiamo fatto tre take in tutto: una l’abbiamo tenuta. Quando Bono ha iniziato a cantarci sopra, ha detto: «Da questa roba ci possiamo tirare fuori molto di più di Native Son». Così abbiamo continuato a lavorarci, lui ha proposto nuove idee melodiche, abbiamo trasformato un testo serio in una cosa più divertente. Alla fine è diventata una canzone diversa, migliore, più articolata. Questo è il tipo di caos positivo che ci mancava.
Sentivate la pressione di dover dare un seguito ad All That You Can’t Leave Behind? Beautiful Day era stata una grande hit e i riflettori erano improvvisamente tornati ad accendersi su di voi.
Sì e no. Non volevamo pubblicare un altro All That You Can’t Leave Behind, quindi abbiamo deciso di provare a fare qualcosa di più duro e più chitarristico, in risposta al successo di Beautiful Day. Sai, ogni album degli U2 è una specie di reazione a quello precedente. Se abbiamo sentito una qualche pressione, è stata sul non ripeterci, cosa che non abbiamo mai voluto fare. Diamo il nostro meglio quando in ballo c’è un senso di scoperta, quando esploriamo nuove strade dal punto di vista musicale. Tutto questo ha influito molto sul modo in cui abbiamo affrontato quel disco.
Parliamo di alcune delle canzoni di questo disco nuovo. Su Picture of You avete chiaramente lavorato molto, dato che ne abbiamo già sentite altre versioni intitolate Fast Cars e Xanax and Wine.
Non è raro per gli U2 che si verifichino casi simili di, chiamiamola così, divisione cellulare. In Achtung Baby ad esempio uno stesso demo ha finito per dar vita a The Fly e Zoo Station. Si intitolava Lady With the Spinning Head. In questo caso, da un riff di chitarra sono nate Xanax and Wine, Fast Cars e Picture of You.
L’impressione è che Bono abbia ricantato dei pezzi.
Sì, ma non tutti. Dando i ritocchi finali alle canzoni abbiamo cercato di restare fedeli allo spirito e al lavoro di 20 anni fa. Solo in un paio di casi abbiamo sentito il bisogno di intervenire e di rimettere mano a quanto era stato fatto. Picture of You comunque è piuttosto simile all’originale, con qualche armonizzazione. All Because of You 2 è rimasta uguale. Wait Forever è esattamente la stessa, non l’abbiamo toccata. Ma Treason aveva bisogno di nuove voci perché mancavano delle sezioni che non avevano un testo. E poi Luckiest Man in the World include una parte della sua versione precedente intitolata Mercy.
Dimmi qualcosa di Evidence of Life. Non ne avevo mai sentito parlare prima.
È nata poco prima dell’arrivo di Steve. Sono arrivato in studio con delle idee, avevo qualche giorno a disposizione e ho buttato giù la traccia. Credo di avere suonato io la batteria: c’è la stessa parte ripetuta in loop per tutto il tempo, quindi penso che non ci sia un batterista vero, perché avrebbe fatto lui tutta la canzone. Ma qua e là ho trovato dei blocchi di otto battute che mi piacevano, quindi l’abbiamo tagliata e assemblata. Ci si evolve sempre, così certe cose si accantonano e restano indietro. A volte, quando arrivava il momento di selezionare le canzoni per i lati B per i singoli, cercavamo fra il materiale che avevamo accumulato: che ne dite di questa? Ricordo che delle idee che poi hanno originato Country Mile e Happiness all’epoca pensavo: sono troppo belli per essere delle B-side, prima o poi ci dobbiamo tornare su.
Come è nata Treason, prodotta da Dave Stewart?
Stavamo facendo delle registrazioni prima del concerto per Nelson Mandela che abbiamo tenuto, tutti insieme, in Sudafrica. Avevamo solo un groove, qualche coro e qualche linea di chitarra. Ci abbiamo lavorato su, ma non c’era un testo completo, così l’abbiamo accantonata. Ma mi piace molto questo pezzo, è particolare, diverso dal solito.
Quando ho sentito Country Mile per la prima volta mi sono chiesto perché diavolo non l’abbiate messa nel disco.
La adoro. Ce n’è anche una versione con un inizio leggermente diverso, è la versione radiofonica e mi piace ancora di più. Quando l’abbiamo incisa aveva delle parole diverse. L’idea per il nuovo testo ci è venuta mentre davamo gli ultimi ritocchi alle canzoni. Credo che quando l’abbiamo incisa pensassimo che i testi dell’album, a livello di contenuti, fossero ok. Oggi invece mi chiedo cosa ci passava per la testa.
Idem per Happiness, che ha un groove funk grandioso.
È un altro pezzo che non avevamo avuto il tempo di terminare. Nella fretta di chiudere un album si finisce sempre per scendere a qualche compromesso, si fanno delle scelte sui brani da mettere. Non ricordo quale pezzo abbiamo preferito a questo, ma credo che tutto sia dipeso, ancora una volta, dal fatto che non avevamo un testo definitivo. Erano tutte canzoni ancora in fase di lavorazione, ma anche in questo caso ricordo di avere pensato: prima o poi lo pubblicheremo, è un grande pezzo.
Are You Gonna Wait Forever invece risale alle session di All You You Can’t Leave Behind, con Eno e Lanois.
Sì. Con gli album degli U2 succede sempre questa cosa: si chiude un disco, ma quando si inizia a lavorare al successivo c’è una sorta di continuità. La primissima versione di City of Blinding Lights era per l’album Pop, ma non siamo riusciti a farla funzionare. Chris Thomas è stato fondamentale nell’aiutarci a svilupparla.
Non avevo mai sentito parlare di Theme From The Batman. Per quale progetto del franchising legato a Batman è stata scritta?
Mi avevano chiesto di fare la sigla per una serie animata dedicata a Batman. Ci siamo detti «buttiamola dentro», perché non era mai stata pubblicata. Forse è su YouTube da qualche parte, ma non è mai apparsa su un disco degli U2.
Tu sei l’unico musicista nella canzone e l’hai anche prodotta. È quasi un tuo brano solista.
Praticamente sì. Ma direi che rispecchia quel momento, quell’epoca. E credo che il bello di questa raccolta stia proprio qui: nella possibilità di capire dove eravamo, con la testa.
All Because of You 2 è chiaramente una versione precedente della canzone.
È una delle prime versioni. Abbiamo lavorato alla voce e al testo, e credo che ci sia un arrangiamento vocale leggermente nuovo. In un certo senso rispecchia quel che stavamo cercando di fare. Credo che fossimo consapevoli del fatto che sprigionava una grande energia, ma suppongo che non ci convincesse la melodia. Così siamo tornati a lavorarci e la versione che è uscita sull’album era un po’ più orecchiabile. Ma penso anche che abbia anche perso qualcosa, mentre questa versione è semplicemente completa. Penso che sia di una purezza irresistibile.
Cosa bolle in pentola, adesso? State lavorando al prossimo disco?
Stiamo lavorando a tante cose diverse. Durante i lockdown per il Covid mi sono lanciato nella creazione di pezzi e idee per le canzoni. Stiamo iniziando a esaminare un po’ di questa roba e abbiamo un sacco di materiale da vagliare, per capire di cosa si tratta. Ci troviamo in quel momento di grazia in cui si sperimenta molto e si prende in considerazione ogni strada possibile dal punto di vista musicale. Immagino che la chitarra sarà un elemento importante del prossimo disco, ma non penso che sarà un album heavy. Credo che faremo un uso della chitarra molto diverso, non puramente rock.
Del resto non l’abbiamo mai fatto: non è nella nostra natura. Abbiamo sempre cercato di evitare di usare lo strumento in maniera troppo mainstream e scontato. Abbiamo sempre tentato di trovare modi inediti di utilizzare la chitarra ed è una delle cose che più ci entusiasmano. È quasi come se dovessimo inserirci a modo nostro nella controcultura e poi portarla alle masse, invece di cercare di inseguire ciò che piace, quello che va di moda e che sta succedendo. È quello che ci sta capitando proprio in questo momento e le canzoni ci indicheranno la direzione dell’album. Stiamo iniziando a mettere a fuoco la musica.
Larry come sta? Riesce a suonare la batteria in studio?
Sì, abbiamo fatto una session con lui e ne faremo un’altra tra un paio di settimane, ci stiamo divertendo molto. Quindi sì. Non vogliamo esagerare, ma sta andando alla grande ed è in ottima forma. È bello passare del tempo con lui in studio, in un ambiente creativo.
Sapete già chi produrrà il disco?
Stiamo collaborando con Jacknife [Lee] e mi sta piacendo molto lavorare con lui. Abbiamo delle session programmate per potenziali progetti diversi che probabilmente finiranno tutti per confluire in quello degli U2, ma stiamo lavorando anche con altre persone e ci divertiamo. Siamo in una fase di sperimentazione, lasciamo che sia la musica a dirci cosa fare. È tutto molto divertente in questo momento.
State già pensando al prossimo tour? Potrebbe essere negli stadi? Nelle arene?
Non riusciamo a pensare molto al tour, ora, ma abbiamo avuto alcune conversazioni a proposito di cosa potremmo fare. Per noi, come dicevo prima, è come se ogni nuovo album fosse una reazione a ciò che è successo prima. Quindi penso che, in qualche modo, risponderemo a quello che abbiamo appena fatto, ovvero i concerti allo Sphere, con qualcosa di molto diverso. Ma non siamo ancora sicuri di cosa si tratterà. Non vediamo l’ora di uscire, di vedere i nostri fan e di andare da loro. Credo che sia importante, piuttosto che far venire loro da noi. Certo, è una cosa che aiuta a ridurre le emissioni di anidride carbonica dei tour, ma credo che troveremo un modo per ridurle e andare comunque on the road a trovare i nostri fan, là dove sono.
Molti fan vorrebbero un megabox dedicato a Pop, magari per il 30° anniversario nel 2027, e ascoltare Songs of Ascent, l’album gemello di No Line on the Horizon rimasto inedito. È possibile che una di queste due cose veda la luce?
Direi che entrambe sono molto probabili, ma non ci abbiamo ancora dedicato alcuna energia. Comunque sì, sicuramente. Come dicevo, ho 100 inizi di canzoni che stiamo vagliando. Ci sono tantissime bozze di pezzi per ogni album che abbiamo pubblicato e sono sicuro che riusciremo a fare qualcosa con Pop. Lo ricordo con grande affetto. Facevamo molte sperimentazioni interessanti in quel periodo. Quindi sì, sono sicuro che succederà.
Questo, per voi, è l’intervallo di tempo più lungo di sempre tra un album e l’altro di materiale nuovo. Tanti fan non vedono l’ora di ascoltare il prossimo disco.
Vale anche per me. Non vedo l’ora di pubblicare qualcosa e magari partire in tour.
Articolo originale: https://www.rollingstone.com/music/music-features/u2-new-album-atomic-bomb-the-edge-interview-1235152643/