Skylarking
XTC
Anno: 1986
Prodotto da: Todd Rundgren
Registrato: Utopia Sound Studios, Woodstock, NY
Formazione:
Andy Partridge – vocal, guitar
Colin Moulding – vocal, bass guitar
Dave Gregory – vocal, guitar, piano, synthesizers
Prairie Prince – drums
Beech Avenue Boys – baking vocals
Todd Rundgren – orchestral arrangements & computer programming
Tracklist
01. Summer’s Cauldron
02. Grass
03. The Meeting Place
04. Thats Really Super Supergirl
05. Ballet For A Rainy Day
06. 1000 Umbrellas
07. Season Cycle
08. Earn Enough For Life
09. Big Day
10. Another Satellite
11. Man Who Sailed Around His Soul
12. Dear God
13. Dying
14. Sacrificial Bonfire
Chi sarebbero stati i Beatles se i Beatles non fossero esistiti ? Non ci crederete ma su dilemmi come questo c’è chi ci perde il sonno. Tuttavia non sareste da biasimare se vi venisse voglia di prendere a calci quel cazzone di nerd che vi confidasse simili pensieri notturni.
Stavolta però il povero nerd tutti i torti non ce l’ha: a volte la Storia, se non proprio riscriverla, si può reinterpretarla giocando a chiedersi se non fosse andata così, come sarebbe andata?
Non per vezzo o spirito revisionista, ma solo per offrire qualche chiave di lettura in più rispetto a verità oramai calcificate che sennò rischierebbero di imputridirsi.
E allora: se i quattro baronetti di Liverpool non avessero mai incrociato i loro destini, chi avrebbe (ri)scritto i codici della musica popolare decostruendone le fondamenta ed elaborandone un modello ex-novo capace di imporsi in così breve tempo nella coscienza musicale collettiva ?
Attenzione però: il giochino vale solo se immaginiamo che il rock sia nato nel 1970, o giù di lì, perché prima la rivoluzione c’era già stata, e quello che doveva essere inventato era già stato inventato.
Pertanto si potrebbe assumere – che so – che Elvis Presley sarebbero stati i Led Zeppelin, Chuck Berry i Black Sabbath, Jerry Lee Lewis i Sex Pistols. E i Beatles? Chi avrebbe fatto la loro parte in questa fantomatica messinscena?
Ebbene, esiste una nutritissima schiera di pensiero che tende ad individuare negli XTC il profilo richiesto.
I secondi Beatles, li chiamano (i terzi sarebbero i Pavement, ma per questo rinviamo alla prossima puntata). Eccessivo ? Non crediamo. In effetti, di candidati ce ne sarebbero a iosa, e per giunta senza bisogno di spingersi fino a dieci anni dopo lo scioglimento dei Fab Four ma restringendo la ricerca alla sola prima metà degli anni settanta.
Tuttavia, nessuno come la band di Andy Paltridge e Colin Mouldin ha saputo elaborare dal nulla un nuovo linguaggio che fosse sì fortemente derivativo ed ossequioso della grande tradizione pop-rock inglese degli anni sessanta di Beatles e Kinks, così come delle suggestioni surfistico-californiane, pure di matrice sixties, dei Beach Boys, ma anche innovativo nella selezione delle chiavi melodiche e nell’elaborazione delle successioni armoniche.
Il tutto condito da straordinarie doti tecniche che consentivano all’ensemble di Swindon di fluttuare con estrema disinvoltura tra rock, punk, jazz, funk, R&B, piegando ognuno di questi generi ad un approccio sostanzialmente pop sorretto dalla vena creativa pressoché inesauribile dei due capibanda, e mescolando il tutto in un sapiente impasto sonoro sì sconfinatamente elaborato, ma dal cuore tenero, friabile e solo apparentemente easy.
La road to perfection, però, fu lunga e piena di insidie, un cammino irto di ostacoli condito anche da qualche battuta a vuoto. Nondimeno, si dice che dopo ogni caduta ci sia sempre una risalita, e che alcune risalite portino più in alto di altre. Verso la perfezione, appunto, che nel caso degli XTC si avrà con Skylarking, l’album del 1986 che rappresenta il culmine di un costante lavorio di cesello portato avanti disco dopo disco.
Abbandonate progressivamente le schizofreniche scorribande punk degli esordi, e limata pian piano una certa attitudine arty, gli XTC scovano finalmente la formula della sezione aurea e la applicano in musica presentandoci la Bellezza nelle fattezze di un capolavoro incontestabile che esula dal groviglio delle valutazioni soggettive. Skylarking è un disco da ammirare, più che analizzare.
La sua gestazione, peraltro, fu molto travagliata, e le sensazioni della vigilia non promettevano assolutamente nulla di buono.
In musica, però, come nell’arte in generale, succede che a volte scatti la fatidica scintilla e le cose prendano a funzionare come per incanto trasformando il caos in armonia. Del resto, le cose migliori spesso nascono per caso o per una straordinaria concomitanza di eventi che quasi certamente non si verificheranno mai più tutti assieme. E Skylarking sarà qualcosa che gli stessi XTC non riusciranno più a replicare negli anni a venire, nonostante la qualità media della loro produzione si attesti comunque a livelli di eccellenza.
Skylarking è un disco decisamente estivo (Beach Boys docet): ci sono dentro i profumi della bella stagione, il tepore del sole mattutino, i mille colori dei campi infiorati, il suono delle cicale cantanti.
Ma tutto sembra sempre in bilico e sul punto di crollare da un momento all’altro. Malgrado metta in pace col mondo, c’è sempre un sottilissimo velo di malinconia che lo pervade.
La partenza è affidata a Summer’s Cauldron, che sembra l’incipit di una fiaba e ci schiude le porte di un mondo incantato, un Eden meraviglioso fatto di prati verdi, ruscelli scroscianti, usignoli cinguettanti e scoiattoli che fanno capolino sui rami degli alberi. Un regno fatato e trasognante dalle forti tinte dream-pop mutuate a loro volta da altri giganti inglesi nel campo, vale a dire i Talk Talk e quello splendido saggio di perfetto equilibrio tra realtà e dimensione onirica che fu il loro It’s My Life, uscito appena un paio d’anni prima.
Il tempo di realizzare che non è un sogno, ed ecco irrompere gli archi celestiali di Grass, la seconda traccia, che è un tutt’uno con la prima. Qui ci si para dinanzi un panorama ancora più mozzafiato. La gioia ci invade il cuore, la natura inebria i nostri sensi coi suoi aromi e i suoi colori. Verrebbe voglia di sdraiarcisi nell’erba ed osservare il cielo azzurro lasciando che le ore passino sopra le nostre teste mentre ci culliamo nel dolce suono dell’acustica che sorregge il brano adagiandosi morbidamente su un languido tappeto di congas caraibiche.
The Meeting Place, la terza traccia, è un altro eccezionale tassello pop che scivola via come l’olio mentre noi restiamo lì inebetiti a chiederci se tanta genialità sia umana o divina.
That’s Really Super Supergirl fa sorgere il dubbio: ma sono gli XTC ad essere anni ottanta o gli anni ottanta ad essere gli XTC ? Riecco il nerd. O Marzullo, fate voi. Ma non fai in tempo a maledirlo che è già partita la beatlesiana che più beatlesiana non si può Ballet For A Rainy Day. Pioggia? Sì, ma è solo un temporale estivo. Anche Paul McCartney ci ballerebbe su. Magari come Gene Kelly, ma con l’ombrello. Anzi, 10000 Umbrellas, geniale avvitamento per voce e violoncello che si inseguono e s’intrecciano elegantemente su una base di archi come cigni in un laghetto dorato con l’arcobaleno sullo sfondo. Del resto, è il Season Cycle, una ruota che gira.
Earn Enough For Life presenta un riff da battaglia degno dei migliori Simple Minds, ma pure qui le frecce nell’arco sono così tante che dietro ogni mondo sembra aprirsi un altro mondo, e le battute fanno quasi fatica a contenere tanta esuberanza creativa.
Big Day fa capire l’origine di tanta musica inglese che verrà e che qualche mente illuminata dell’NME riunirà più tardi sotto la molto poco fantasiosa sigla brit-pop.
Another Satellite è un intermezzo che richiama apertamente i Wire melodrammatici di 154.
Newmann e soci, del resto, furono a lungo compagni di viaggio degli XTC e con essi condivisero i natali punk e la naturale attitudine ad affrancarsi fin da subito dalle spire mortali di un genere che stava a entrambi troppo stretto.
Il loro approccio cerebrale fece parlare di intellectual-punk, un universo sconosciuto alla quasi totalità delle band figlie di Clash e Buzzcocks.
Ma, tornando al disco in esame, è il tris di chiusura a fare da dessert ideale per i palati degli ascoltatori già compiaciuti dalle precedenti portate: Man Who Sailed Around The World è un geniale swingetto buttato lì tanto per; Dying, un gioiellino agrodolce che si aggrappa al cuore fin dal primo ascolto; Sacrifical Bonfire, l’epico crescendo che chiude degnamente uno dei dischi cardine della storia del rock.
Nel 1989 Rolling Stone lo inserirà al 48mo posto nella lista dei 100 migliori album degli anni ottanta. La domanda però sorge spontanea: esistono davvero quarantasette dischi migliori di questo ? Secondo noi, no. Pure prima del 1970.
Valerio Di Marco