“Berlino Zoo Station”, esclusiva intervista all’autore Massimo Palma

Berlino Zoo Station, un libro di Massimo Palma(scrittore e ricercatore presso l’Università Suor Orsola di Napoli) che si dimostra essere una vera guida per scoprire Berlino, per tutti ma in particolare per chi ama gli U2. Berlino, città della rinascita della band irlandese, si erge attraverso le pagine di questo libro con la sua Zoo Station, fermata della U-Bahn, la metropolitana che attraversa, divide e poi ancora unisce la città, con gli Hansa Studio, così vicini a ciò che rimane del muro, quel muro che è quasi una parabola della divisione che aveva messo in crisi i quattro irlandesi. Si aggirano molte anime in questo racconto di viaggio, grandi filosofi, scrittori, artisti, da Hegel a David Bowie a Christiane F., in questa Berlino scoperta per chi mai l’ha visitata, e riscoperta per chi ha già camminato per le sue strade così dense di storia, ma attraverso gli occhi degli U2, approfondita nelle liriche di quel capolavoro della discografia che è Achtung Baby, album assolutamente da ascoltare in questo viaggio virtuale.

In esclusiva per U2Place vi proponiamo un’intervista all’autore.

1-Dove e quando nasce la tua passione per gli U2 e come incrocia il tuo lavoro di ricercatore e studioso del pensiero tedesco?
La mia passione per gli U2, ad esser sincero, nasce da un senso di colpa grande come una casa: non essere andato al concerto del Flaminio del luglio 1993 (quello dei vetri rotti per via dell’audio eccessivo)… Anche se avevo comprato (e adorato) il 45 giri di One l’anno prima, in Inghilterra, continuavo a fare finta di poterne fare a meno (d’altronde non avevo neanche quindici anni…). Bene, sei mesi dopo gli U2 erano irrimediabilmente il mio gruppo preferito. Sono andato a tutti i concerti dei tour successivi (dal concerto dell’Urbe del ’97 fino a Roma 2010), ma l’idea di un peccato originale – aver mancato lo Zoo Tv Tour – mi è rimasta addosso. Alla fine questo mio libro è un I’m sorry grande come quello del video di Sweetest Thing!
Gli U2 mi hanno accompagnato nella mia crescita e quindi anche nei miei studi (studio sempre ascoltando la musica). Ma l’incrocio tra la passione-U2 e le mie letture è dovuto all’esperienza che hanno fatto gli U2 a Berlino, che mi è sembrato replicare quella di tanti artisti e intellettuali, di cui studiavo le vite e i pensieri nel corso delle mie ricerche: Berlino come città che insieme attrae e respinge. Una sensazione che ho rivissuto andandoci tante volte. Una città che ti fa ballare, divertire, e che ti sconvolge, ti lascia a bocca aperta per gli spazi spalancati e per le tragedie e i fantasmi che la abitano.

2-Tre luoghi imprescindibili per un fan degli U2 che visita Berlino
Oltre alla Zoo Station – ovvero il Bahnhof Zoo – un consiglio ovvio, se ci ho scritto un libro sopra… ci sono tanti luoghi simbolici che si incontrano facilmente in una qualsiasi visita berlinese. È d’obbligo andare a Bodestraße, all’Isola dei Musei, un must – dove c’è la foto di Larry sorridente e Bono accigliato, nel booklet di Achtung Baby. Però bisogna andarci di notte. È l’unico modo per recuperare quella desolazione e quel vuoto che vedi in quella foto, la neve sui marciapiedi: sono cose che non vedi di giorno, quando i musei sono aperti e l’Isola è piena di turisti.
Poi, poco più in là, la porta di Brandeburgo, dove si è tenuto il concerto per il ventennale della caduta del Muro, nel 2009, e dove viene ripreso il padre di Bono nel video di One. Sullo sfondo la Statua della Vittoria del video di Stay.
E poi Köthener Straße, ovviamente, la strada degli Hansa Studios, che io personalmente trovo una via anonima, ma che ha partorito quel capolavoro di AB (e molti altri, da Bowie a Iggy Pop, ai Depeche Mode…). Ed è interessante che sia in un punto storicamente decisivo di Berlino, tra Potsdamer Platz e Anhalter Bahnhof, due luoghi completamente diversi che mostrano gli spettri (o gli angeli, gli angeli terribili di Rilke che Bono cita in Oh Berlin) che abitano Berlino… è come se fosse al centro di una tensione tutta berlinese.

3-Zoo Station è stata vista come un vero e proprio manifesto, quale tra le tante dichiarazioni d’intento della canzone trovi ancora attuale?
Credo in realtà che tutto il testo sia ancora attuale: è uno dei testi più vitali, più innamorati della vita, che sia possibile scrivere, anche e soprattutto perché non ha paura di mostrarsi contraddittorio – come la vita (sin dal titolo, che fino a quel momento era un luogo di morte, per via della storia di Christiane F.). Dice di esser pronto a lasciarsi andare, ma anche ad aspettare (il “gridlock”), di esser pronto a scontrarsi (ma anche a trattare). Sono modi estremamente diversi di stare al mondo, in cui gli U2 sembrano quasi abbandonarsi con slancio: quel “sono pronto” è un manifesto dell’apertura alle nuove esperienze, agli altri, ma anche alla difficoltà, persino al dolore. Per questo direi che è un ‘classico’. E per questo sarebbe un problema se non fosse ancora attuale (per gli U2 e per chi rilegge quel testo).

4-“In dreams begin responsabilities” , nel libro indichi in questo verso di Acrobat, una canzone mai suonata live e agognata dai fan, una sorta di profezia circa l’impegno sociale post 2000 di Bono; come vedi il lato “attivista” di Bono? Lo giustifichi o pensi vada a distrarlo dal suo essere poeta, artista, cantante rock?
A me quella frase di Yeats (poi ripresa da Delmore Schwartz e da Acrobat) è sempre sembrata fulminante e perfetta per descrivere l’impegno e la dedizione di Bono nell’ultimo decennio (per una causa degnissima, non bisogna dimenticarlo). Certo che qualcosa si va a perdere sul piano dell’impegno artistico (per esempio, a mio parere ci sono alcuni testi negli album dai titoli alla Lina Wertmüller che al confronto con Achtung Baby e Pop fanno una figura magra). Se ti metti a seguire le politiche sulla povertà estrema di tutto l’occidente, se hai un’agenda fitta di impegni e di incontri, la bussola è orientata sicuramente altrove rispetto al lavoro in studio. Ma questo non vale sempre (e album e tour sono sempre stati di livello davvero alto, soprattutto l’ultimo), perché nel frattempo gli altri tre hanno lavorato sodo e l’ispirazione, si sa, è a volte una luce che si accende per pochi istanti, che però bastano e avanzano a creare la magia di un brano. E d’altronde è vero che Bono ha sufficientemente dimostrato di essere una figura che non si fa rinchiudere in una definizione (la “popstar impegnata”), e soprattutto molto, molto ricca umanamente. Dà l’idea di avere una curiosità insaziabile – è anche questo, credo, che rende gli U2 speciali da trent’anni.

5-Berlino città della rinascita degli U2, quale potrebbe essere oggi dopo 20 anni, il luogo o la città dell’ennesima rinascita della band irlandese?
Trovo che gli U2 abbiano avuto l’intuizione – consapevole o meno – di esser presenti al momento giusto nei luoghi di ‘svolta’ della nostra era. Sono stati lì quando è passato lo ‘spirito del mondo’, come dicono i filosofi. Prima a Berlino, subito dopo la caduta del Muro, poi si sono concentrati su New York nella grande commozione post 11/9 (ma bisogna ricordare che la canzone New York, appunto, viene un anno prima). E hanno rappresentato in musica queste due diversi momenti storici. Per rispondere, però, bisognerebbe sapere dove sta andando il mondo, e non ho la presunzione di saperlo. Se dovessi provare una risposta di fantasia, direi che potrebbero trovare ispirazione in due luoghi completamente diversi: Gerusalemme, una città difficilissima e ricchissima, che è legata a un immaginario che gli U2 già abitano (dal brano di October a “Coexist”, a Yahweh, fino alle ambientazioni di Fez che non differiscono poi tanto), ma che non hanno mai sfruttato come luogo reale, non solo immaginario, di ispirazione. E in Medio Oriente si è sempre in parte ‘deciso’ il destino del mondo… L’altra città è Rio de Janeiro, perché il Brasile è diventato il cuore pulsante dei paesi emergenti, perché ospiterà grandi eventi nei prossimi anni, e ovviamente perché ha una cultura affascinante, piena di zone d’ombra, che può ‘rapire’ chi si dimostri attento e curioso. Ecco, li vedrei fuori dall’Europa, ma anche dall’Africa e dall’America del Nord – tutti luoghi ormai ‘familiari’ per loro, per ragioni molto diverse.

6-Il tuo libro è ricco di una conoscenza profonda dell’arte, si sovrappongono strati di storia e cultura; quale canzone degli U2 ti rende libero di sovrastrutture e ti lascia solo con la musica?
È la domanda più difficile… Direi Mofo, che nonostante un testo ‘pesante’ mi ha sempre trascinato nel suo flusso, imponendomi di non farmi troppe domande. Una sensazione analoga – esser soli con la musica – ce l’ho con In a Little While, tre minuti di soul puro. Come brano pop, infine, City of Blinding Lights, un pezzo che, come Streets, risolleverebbe qualsiasi concerto.

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