Il Beautiful Day degli U2

Beautiful Day, storia e significato

Ma facciamo un passetto indietro.
La prima metà degli anni ’90 si era rivelata assai proficua per la band di Dublino, che era riuscita a tacitare, da un lato, le fragorose critiche seguite al “progetto” Rattle and Hum, dall’altro, la ridda di insinuazioni volta a tacciare il gruppo di egotismo e megalomania. I nostri, dopo una gestazione tanto travagliata da far adombrare addirittura lo spettro dello scioglimento, avevano risposto a queste illazioni “abbattendo” l’albero e forgiando una pietra miliare nel panorama rock: Achtung Baby.
Tutto cambiò.
Il Bono che ringhiava al microfono con tanto di panciotto e chioma fluente, lasciò il posto ad un personaggio iconico, capziosamente edonista, che sfoggiava giubbotto di pelle, occhiali da mosca e capello ingellato.
Volevate la rockstar?, sembrava chiedere il leader degli U2: eccola!
Alle scenografie scabre, quasi asettiche, dei tour precedenti, fecero da contraltare palcoscenici mastodontici: un rutilare di luci e colori che vide il gruppo sguazzare, talvolta con irriverenza, talaltra con goliardia, nella sbornia tecnologica dello Zoo Tv, culminata nella fugace propaggine di Zooropa.
La seconda metà degli anni ’90, per converso, non fu altrettanto soddisfacente, perlomeno sotto il profilo commerciale. Il progetto Passengers passò quasi inosservato, arenandosi nelle sabbie del suo oltranzismo sperimentale, mentre l’album Pop, a quasi quattro anni dal precedente, si guadagnò il poco edificante appellativo di “flop”. Non andò meglio al PopMart Tour, che, specie negli Stati Uniti, arrancò parecchio, con diversi show che fecero registrare un cospicuo numero di tagliandi invenduti. Emblematiche, al riguardo, le date di Kansas City (meno di 25,000 spettatori su una capienza di 55,000), Tampa (meno di 20,000 spettatori su una capienza di 50,000) e Jacksonville, in cui si vendettero poco più di un quarto (!!) dei biglietti disponibili (circa 15,000 su una capienza di 50,000). Insomma, se la transizione da Achtung Baby a Zooropa aveva coagulato i favori del grande pubblico, quella fino a Pop era risultata tutt’altro che indolore. Probabilmente, nel lodevole tentativo di scandagliare sentieri musicali inesplorati, gli U2 avevano tirato troppo la corda, finché questa, all’improvviso, si era spezzata. Il gruppo si leccò le ferite per un po’, ma poi decise che era giunto il momento di risorgere. Come? Mantenendo un basso profilo; spogliando le canzoni da quell’artificiosa patina elettronica che li aveva fatti finire nell’occhio del ciclone; smettendo i panni dei pionieri, nei quali, forse, non si sentivano più a loro agio; tornando ad abbracciare, in un percorso a ritroso verso le radici della loro stessa musica, sonorità più tradizionali.
Per tutte queste ragioni, Beautiful Day rappresentò un’ancora di salvezza. Un viatico per imprimere a fuoco il marchio U2 anche sul terzo millennio. Un nuovo inizio: l’ennesimo, per chi, come noi, conosce a menadito la storia del gruppo. A dispetto del titolo ecumenico, il brano – senza tema di smentita, l’ultimo vero “inno” licenziato dagli U2 – è un’esortazione a non perdere mai la speranza, a mantenere alta e indomita la fede anche quando le cose intorno a noi volgono al peggio: magari perché il fato ci ha voltato le spalle (“You’re out of luck”), o perché ci sentiamo disorientati (“and you’re not moving anywhere.”; “You’re on the road but you’ve got no destination”). D’altronde, quel fiore che sboccia nei terreni più impervi (“The heart is a bloom, shoots up through stony ground”) assurge proprio a indefettibile simbolo di speranza: il riferimento biblico alla creazione di Adamo da parte di Dio, che generò l’uomo dal fango della terra, è deliberato, e ci insegna che lo spirito di ogni essere umano, sebbene messo a dura prova, reca sempre in sé la capacità di perseverare sino ad approdare al porto della salvezza. Fu lo stesso Bono a chiarire il significato del testo, chiosando: “It’s about losing everything but still finding joy in what one has”.
Un larvato riferimento alla Bibbia è ravvisabile anche nella coppia di versi “See the bird with a leaf in her mouth, after the flood all the colours came out”: si allude alla colomba che fece ritorno all’Arca, con una foglia in bocca, per informare Noè che il “vecchio” mondo aveva cessato di esistere ed uno “nuovo” poteva finalmente avere inizio.
Il tema della rinascita, dunque, percorre trasversalmente Beautiful Day. E peccheremmo d’ingenuità se non vi scorgessimo afflati autobiografici. Un ultimo esempio, attingendo ancora alle liriche del bridge, ci viene fornito da “See the world in green and blue”, oppure da “See the oil fields at first light”. Bono affermò di essersi ispirato ai tanti racconti sciorinati dagli astronauti in merito alla contemplazione della terra dalla luna. Ciò, se ben ci pensate, spiegherebbe la presenza di uno shuttle nell’icona della canzone (booklet dell’album). La terra vista dallo spazio, uno spettacolo magnificente.

Estratto dal video di Beautiful Day

Esiste forse immagine più icastica in tema di rinascita? Un pianeta colorato, una perla blu cobalto avvolta dalle tenebre: vulnerabile, perché apparentemente isolata nella vastità dell’infinito, ma al contempo brulicante di vita, come testimoniano le catene montuose (“See the canyons broken by cloud”) e l’abbacinante scintillio delle raffinerie (“See the oil fields at first light”), discernibile ad occhio nudo mentre il crepuscolo sta per alzare il sipario al sole del mattino.
Una canzone che induce a professare ottimismo pur nelle avversità.
Questo atteggiamento positivo confliggeva piuttosto apertamente con l’epilogo dell’album precedente, in cui la splendida Wake Up Dead Man si appalesava come il desolato lamento di un uomo solo, prostrato, che aveva smarrito fede e speranza.
Come dicevamo in apertura, la resurrezione degli U2 ebbe luogo il 21/02/2001, allo Staples Center di Los Angeles.

Gli U2 fanno incetta di Grammy


Beautiful Day si aggiudicò, oltre al secondario “Best Rock Perfomance by a Duo or Group with Vocal”, I grammy più prestigiosi, “Song of the Year” e “Record oh the Year”. Per chi se lo stesse chiedendo, la differenza tra i due riconoscimenti risiede in ciò: mentre “Record of the Year” premia l’intero team coinvolto nella produzione e nella realizzazione del brano (dall’artista ai produttori, fino ai tecnici e agli ingegneri addetti alla registrazione, al missaggio e alla masterizzazione), “Song of the Year”si rivolge invece al cantautore (che potrebbe, in astratto, non coincidere con l’artista), e premia essenzialmente la bellezza lirica del pezzo.
Fu lo stesso Bono, brandendo la statuetta del “Record of the Year”, a ventilare l’idea di rinascita, manifestando a chiare lettere l’obiettivo della band: “The whole year has been humbling going back to scratch, applying for the job, what job? The Best Band in the World job”. Il leader degli U2, pur dichiarando che altri gruppi avrebbero legittimamente potuto aspirare a tale titolo (nominò i Radiohead e i Red Hot Chili Peppers), concluse l’intervento con un categorico: “But right now, it’s our night!
Non si sbagliava. La popolarità degli U2 era tornata ai livelli “pre-Pop”.
Lo sapeva Bono, lo sapevano Edge, Adam e Larry. Lo sapevano Daniel Lanois e Paul McGuinness. Sorridevano tutti, scambiandosi occhiate complici e compiaciute. Questa era l’atmosfera che si respirava allo Steples Center quel giorno: gli U2 erano tornati in vetta! E l’Elevation Tour, il cui battesimo era ormai prossimo (24/03/2001 dalla Florida), non avrebbe fatto altro che rafforzare tale convinzione.

BEAUTIFUL DAY – CLASSIFICHE
Il brano riscosse notevole successo e fece da straordinario traino per All That You Can’t Leave Behind nelle charts di tutto il mondo. L’album, ad oggi, ha venduto circa 12,5 milioni di copie, attestandosi al quarto posto tra i dischi (raccolte escluse) pubblicati dagli U2, dietro all’inarrivabile The Joshua Tree (28,5 milioni), ad Achtung Baby (18 milioni) e a Rattle and Hum (circa 14 milioni).
Si dimostrò, oltretutto, uno dei lavori più longevi della band capitanata da Bono.
A dieci mesi dalla pubblicazione, infatti, quando l’effetto “Elevation Tour” stava progressivamente scemando, e il disco cominciava a dare inevitabili segni di cedimento nelle classifiche, il barbaro attentato perpetrato al World Trade Center lo riportò in auge. Una reviviscenza legata non solo al carattere innodico di Beautiful Day, ma soprattutto all’accorato grido di speranza che si levava dal pezzo, sotto la cui cupola redentiva si riunirono, all’unisono, i cuori straziati di milioni di americani.

It’s a beautiful day, the sky falls
And you feel like it’s a beautiful day

Le liriche dell’album effondevano carezze consolatorie all’indirizzo di un popolo trafitto nel ventre di una della città simbolo (“[…] in New York I lost it all”): c’era chi, semplicemente, implorava la pace (“Peace on Earth”), o chi invece si chiedeva come Dio potesse ancora considerare sue creature gli artefici di tali atrocità (“When I Look at the World”).
Nel marzo del 2002, a un anno e mezzo dall’uscita, per il combinato effetto dell’esibizione al Super Bowl e dell’ulteriore incetta di titoli ai Grammy Awards, All That You Can’t Leave Behind veleggiava ancora al #10 della “Billboard 200” statunitense. E quando l’ultima posizione consecutiva in classifica venne registrata (#199), erano ormai trascorsi quasi due anni (!!) dalla pubblicazione del disco. Non dissimile il successo nel Regno Unito, dove l’album stazionò nella “top 75” per 73 settimane consecutive.

Stati Uniti:
Quella che segue è la chart run nella celebre “Billboard Hot 100”: 75-73-71-68-69-61-47-44-40-42-32-28-25-28-24-22-21*-21-21-25-26-36-33-38-46.
Beautiful Day raggiunse, inoltre, il:
1 posto nella Adult Alternative Songs
1 posto nella Dance Club Songs (unico pezzo degli U2 ad issarsi nella vetta)
4 posto nella Adult Top 40 Airplay
14 posto nella Mainstream Rock Airplay
19 posto nella Mainstream Top 40 Airplay

Negli anni successivi, appena istituite le rispettive classifiche, arrivarono il:
49 posto nella Digital Songs Sales (2004)
27 posto nella Rock Digital Song Sales (2010)
Regno Unito:
Quella appresso riportata, è la chart run nella “top 100” dei singoli: 1*-3-14-25-38-44-50-62-65-74-73-58-43-52-58-73-X-86-89.
Italia:
Ecco il percorso di Beautiful Day nel nostro paese, considerando sia la classifica ufficiale di vendita dei singoli FIMI, sia quella elaborata dalla celebre rivista Musica&Dischi:
FIMI (Top 50): 1-1-1-2-1-4-4-3-5-5–8-10-7-13-12-14-26-34-X-45-39 M&D (Top 20): 1-1-1-3-1-2-6-4-6-7-13-9-12-11-16

Resto del mondo:

  • Il primo singolo tratto da All That You Can’t Leave Behind si issò in vetta alla classifica nei seguenti paesi, oltre ad Italia e Regno Unito: Australia, Canada, Finlandia, Irlanda (fu il quindicesimo singolo degli U2 a raggiungere il #1), Norvegia, Olanda, Portogallo e Spagna (fu il secondo singolo più venduto del 2000).
    Beautiful Day raggiunse, inoltre, la top 10 in Danimarca, Croazia, Islanda e Ungheria (#2), Grecia (#3), Belgio e Svizzera (#6) Austria, Germania, Nuova Zelanda e Svezia (#7).
  • Nella “Euro Chart Top 100” (che indica i singoli più venduti in Europa), Beautiful Day arrivò al #1 e risultò il 67° singolo più venduto del 2000.
  • La performance mondiale di Beautiful Day, basata sulle rilevazioni elaborate da “Mediatraffic”, fu quella di seguito esposta (Top 40 dei singoli più venduti al mondo): 26-22-2-2-2-2-3-4* (raggiunto il milione di copie vendute)-5-4-9-10-8-10-13-17-20-27-39. Se vi state arrovellando, domandandovi quale brano impedì agli U2 di salire sul tetto del pianeta, sappiate che la risposta è Music di Madonna.
    Alla fine, comunque, Beautiful Day guadagnò un eccellente #23 nella graduatoria delle canzoni più vendute al mondo nel 2000! Risultato davvero rimarchevole per una band notoriamente poco incline al successo con i singoli.
Live l’esibizione per Top of The Pops

BEAUTIFUL DAY – CERTIFICAZIONI
Il singolo Beautiful Day è certificato “platino” nel Regno Unito (600,000 copie), in Australia (70,000 copie), in Brasile (60,000 copie), in Italia (50,000 copie). È certificato “oro” negli Stati Uniti (500,000 copie), in Danimarca (45,000 copie) e in Spagna (25,000 copie).
BEAUTIFUL DAY – VENDITE
Le vendite “fisiche” di Beautiful Day hanno superato abbondantemente il milione di copie. Quelle digitali, ad oggi, si attestano sui 6 milioni, mentre considerando congiuntamente vendite fisiche, digitali e vendite indotte dallo streaming, arriviamo a 16 milioni circa: un numero davvero ragguardevole, sufficiente a collocare Beautiful Day direttamente al terzo posto tra i singoli in assoluto più venduti della band, dietro a With Or Without You e Sunday Bloody Sunday, ma davanti a pezzi del calibro di One, I Still Haven’t Found What I’m Looking For e Pride (In the Name of Love). BEAUTIFUL DAY – YOUTUBE E SPOTIFY
Su YouTube, il singolo ha inanellato ad oggi 159 milioni di visualizzazioni e risulta il terzo più visualizzato dell’intera discografia del gruppo, dietro (come al solito) a With or Without You (che si mantiene saldamente al 1° posto con circa 400 milioni di visualizzazioni) e One (si badi, NON la versione originale contenuta in Achtung Baby, bensì quella edita nel 2006 insieme a Mary J. Blige, che si attesta al secondo posto con 165 milioni). Un successo strepitoso per Beautiful Day, capace dunque di collezionare oltre 13 milioni di visualizzazioni l’anno (pari a 36 mila al giorno).
Su Spotify, il singolo ha totalizzato la bellezza di 331 milioni di ascolti in streaming, bastevoli a renderlo il terzo brano più ascoltato della discografia della band, dopo With or Without You (che capeggia la graduatoria con oltre 600 milioni) e I Still Haven’t Found What I’m Looking For (seconda a 393 milioni). Al quarto posto, a tallonare il primo singolo di All That You Can’t Leave Behind, c’è One (329 milioni), questa volta nella versione originale (consentitemi, con compiaciuto spirito partigiano, di aggiungere “l’unica”).
Considerando tutte le piattaforme in streaming che punteggiano il mercato (Tidal, Deezer, Apple Music, Amazon Music, ecc.), ove gli U2 viaggiano alla media complessiva di oltre 2,6 milioni di ascolti in streaming al giorno, Beautiful Day ha appena varcato la soglia degli 866 milioni di ascolti!
BEAUTIFUL DAY – CONCLUSIONI
I fan degli U2 devono molto a questo pezzo, così evocativo ed incisivo, pur nella sua scarna semplicità. Il successo del singolo (e dell’album cui fece da traino), consentì alla band di scrollarsi di dosso molte paure e di affrancarsi da quel turbine autolesionista nel quale si stava malinconicamente avvitando dopo i tentennamenti della “Pop era”. Non v’è dubbio che, se la temperie di inizio millennio non fosse stata tanto feconda a livello di titoli e riconoscimenti, molto di ciò a cui abbiamo assistito dopo, non si sarebbe verificato. Il dilagante scoramento di fine anni ’90, aveva infatti indotto Bono ad un inquietante monito: “Al secondo album sbagliato di fila, potremmo anche pensare di smetterla qui.”
Per nostra fortuna, non avremo mai la riprova della veridicità di quelle affermazioni.
Appena terminata Beautiful Day, tutti, nell’entourage del gruppo, vantavano certezze granitiche sul suo potenziale radiofonico. Jimmi Iovine, addirittura, ancor prima che il brano fosse pronto, si lanciò in un’ardita quanto eloquente metafora, rivolgendosi raggiante alla band: “Avete pescato un gran bel branzino!”. Anche Daniel Lanois gongolava: “Quel ritornello possiede la forza di metallo in frantumi”. Ed era così. Un ritornello graffiante, in cui il leader degli U2 erompeva in un coacervo di sensazioni, talvolta persino configgenti: dalla rabbia per le critiche che avevano bersagliato la band, alla gioia per i consensi che stava riscuotendo la campagna “Jubilee 2000”.
Del resto, lo stesso Bono dichiarò apertamente che, sebbene non sapesse spiegarne il motivo, sin dall’inizio era stato animato dall’incrollabile presentimento che quel singolo avrebbe funzionato alla grande.
In qualche modo, dentro di sé, non sapeva come, ma lo sentiva.
What you don’t know, you can feel it somehow.”

Beautiful Day, la cover del singolo

Articolo redatto da Gianluigi Cima, il mitico ed insostituibile Illusion, nel Forum di U2place

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