Neil McCormick parla del suo libro e del rapporto con gli U2 in un articolo su “La Stampa”

In un articolo comparso ieri su La Stampa, Neil McCormick parla della sua storia, del suo libro Killing Bono e del rapporto con gli U2.
Vi riportiamo l’articolo integrale, in evidenza la parte in cui parla del nuovo album dei suoi “amici-rivali” di Dublino:

“Nel mio liceo sono nati gli U2 ma io ero il leader dell’altro gruppo”

Parla lo scrittore Neil McCormick: «Essere un perdente è il mio grande successo. Ma averli sempre seguiti
è uno dei privilegi della mia vita»
di PIERO NEGRI

«Tutto sembra possibile quando sei un teenager – dice Neil McCormick – ma che il gruppo del tuo liceo diventi la rock band più amata al mondo è un po’ difficile da immaginare anche per l’adolescente più sognatore». Anche per uno come lui, che progettava di tenere il primo concerto sulla Luna: «E invece una sorta di beffa cosmica ha voluto che io fallissi in ogni avventura musicale, mentre i miei compagni di scuola, un passo alla volta, diventavano gli U2. La beffa continua: ora io sono per tutti “quello che conosceva gli U2 prima che diventassero famosi”, ora essere un perdente è il mio grande successo».

Ora Neil McCormick fa il critico musicale per il quotidiano conservatore britannico «Daily Telegraph». Si è deciso a raccontare il rock dopo aver provato con una certa insistenza a farlo in prima persona. È nato a Dublino nel 1961, un anno dopo Bono, il leader degli U2, e come Bono (e Edge, e Adam Clayton e Larry Mullen, cioè tutti gli altri U2) ha frequentato il liceo Mount Temple, una scuola che, riflette oggi, «favoriva l’individualismo e l’espressione di sé» e che dunque «ti faceva pensare che era ok essere un sognatore: senza quella follia, i Beatles non sarebbero mai esistiti. E noi in fondo volevamo essere i nuovi Beatles».

Neil ha fondato i Frankie Corpse & The Undertakers (1978) – e poi i Modulators (1978-79), gli Yeah!Yeah! (1980-83) e i Shook Up! (1984-89) -, proprio mentre, due classi più in là, quattro ragazzini, irlandesi come lui, sognatori come lui, passavano in pochi mesi dai Feedback, a The Hype e infine a U2 (il nome è rimasto lo stesso da più di trent’anni). Lui era – ed è ancora – ateo, nichilista, esistenzialista, i suoi amici erano – e sono ancora – credenti e pericolosamente (almeno, così dice lui) inclini al misticismo. «Le nostre discussioni, anche aspre – ricorda – erano quelle che si facevano un po’ ovunque in quel tempo in Irlanda. Dio c’è o non c’è? Chi decide il nostro destino? Cosa c’è dopo la morte? Ora capisco che la loro natura di credenti spiega in una certa misura il loro successo, ma credo che comunque sia stato importante porsi quelle domande: solo gli stupidi non se le fanno. Le mie risposte e quelle di Bono andavano in direzione opposta, tutto lì».

Racconta di aver visto quasi ogni concerto, anche quelli più insignificanti, dei ragazzi che sarebbero diventati gli U2, in palestre, centri studenteschi, pub, stanzoni, locali notturni, e confessa di averli sempre trovati eccezionali: «Immagino che all’inizio, proprio come i gruppi fondati da me, neppure loro sapessero suonare. Ma, ora lo posso dire, sono sempre stato un fan. Averli seguiti fin dall’inizio è uno dei privilegi della mia vita, ho sempre creduto che ce l’avrebbero fatta. E se cerco di spiegarmi perché, immagino che molto abbia a che fare con la personalità di Bono, con la sua capacità di affascinare chiunque gli stia intorno, con quella curiosità inesauribile che lo fa entrare facilmente in contatto con esseri umani di ogni genere e provenienza. Da voi in Italia, tra l’altro, ho vissuto con lui alcune delle avventure più estreme, tipo incontrare il Papa e magari finire la giornata a Roma in un locale frequentato da transessuali».

Dalla sua storia da rockstar fallita e del destino parallelo che lega le sue disavventure alle avventure degli U2, McCormick ha tratto un libro, uscito in Gran Bretagna nel 2004 e ora anche in Italia: è «Killing Bono» (Bur); il titolo, che significa “uccidere Bono”, gliel’ha proposto Bono stesso, che nell’introduzione scrive: «Neil incarna alla perfezione la storica battuta pronunciata da Marlon Brando in “Fronte del porto”: potevo diventare un campione».

«Con i miei fallimenti ho fatto i conti da tempo – racconta Neil – e infatti credo che l’ironia con cui li racconto sia stata la chiave per il successo del libro, l’aspetto in cui molti si sono riconosciuti: in fondo sul Pianeta ci sono molti più Neil McCormick che U2. Il paradosso è che ho iniziato a scrivere questa storia per liberarmene per sempre e ora mi è chiaro che di questa vicenda sarò per sempre – a questo punto felicemente – prigioniero».

Neil ha sentito Bono un paio di mesi fa, gli ha detto che hanno registrato il materiale per quattro o cinque dischi, ma che stanno cercando di tornare ai livelli di «The Joshua Tree», o di «Achtung Baby», che vogliono risalire in cima, non accontentarsi di piacere ai fan: «Una delle esperienze più belle delle mia vita – aggiunge McCormick – è stato scrivere la biografia ufficiale degli U2 («U2 By U2») poco dopo aver pubblicato la storia della mia vita. Lavorando a quel libro ho capito come funziona: il talento è necessario ma non sufficiente, anche in una storia come la loro, i momenti in cui avrebbe potuto andare diversamente sono stati numerosissimi. Per essere gli U2, insomma, ci vuole talento e un bel po’ di fortuna. Almeno, così la racconto io. Bono direbbe che ci vuole talento e la benevolenza di Dio».

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