Willie Williams racconta il suo iNNOCENCE & eXPERIENCE Tour, parte 1

Willie Williams

Gli U2 vanno avanti a tutta forza con il Tour Innocence+Experience, suonando questa volta nelle arene, invece che negli immensi stadi dei vecchi tour come il 360°, e andando avanti dopo la morte inattesa del loro tour manager avvenuta la settimana scorsa.

Abbiamo incontrato il direttore creativo Willie Williams per un’intervista in più parti, sulla sua collaborazione con i set designers Es Devlin e Ric Lipson (Stufish) e con il sound designer Joe O’Herlihy, sull’evoluzione del progetto di questo tour, e sulla progettazione senza lo scomparso Mark Fisher.

Live Design: Allora, considerando la tua propensione quella della band ad iniziare presto, quanto tempo fa avete cominciato?

Willie Williams: Il primo incontro tra la band ed il gruppo creativo è stato a marzo 2013 e quindi il processo è durato poco più di due anni. Detto questo, la prima conversazione che ho avuto con Bono a proposito del “nuovo tour” fu durante il vecchio tour, e quindi è in quel momento che tutto è iniziato. Anche allora, durante il tour 360°, Bono si chiedeva in che direzione saremmo dovuti andare e suggeriva che, in contrapposizione con i 200 camion carichi di acciaio, dovessimo iniziare il nuovo show sotto una sola, spoglia lampadina.

Il tour doveva iniziare nella primavera del 2014, ma, fra una cosa e l’altra, è stato rimandato di un anno e così abbiamo avuto un periodo di progettazione molto prolungato.

LD: Quali erano i vostri obiettivi, nonché quelli della band?

WW: Come sempre, questo show degli U2 è nato dal dialogo con la band. Ogni tour degli U2 ha una specie di concetto di base dal quale tutto si sviluppa – la bandiera bianca, Il blues, una struttura, la volontà di tornare a occupare il proprio posto (di miglior band, frase detta in occasione dell’uscita di All that you can’t leave behind ndr) e, ovviamente, una volta tutto è nato da un paio di occhiali da sole avvolgenti. In questo caso, l’inizio è stato un racconto. E’ il racconto che attraversa l’album: la storia di quattro adolescenti che crescevano nella Dublino degli anni ’70 e guardavano fuori dalla finestra della loro camera per capire come trovare il loro spazio nel mondo esterno così violento e sconvolto.

LD: Al LDI (Live Design International ndr) discutemmo dell’idea di due concerti diversi, di serate alternative. E’ andata così?
WW: Volevamo assolutamente preparare due diverse setlist e presentare una coppia di show. Questa idea è sopravvissuta per tutto il tempo, fino alle prove musicali e a quel punto è apparso chiaro che non era davvero fattibile. Penso che abbiano potuto davvero provare canzoni sufficienti per due spettacoli, e sarei stato assolutamente felice di studiarmi la discografia, ma il problema di quali canzoni sarebbero rimaste fuori in uno dei concerti è diventato troppo grande per essere eluso. La possibile delusione di chi, per i propri gusti personali, si sarebbe ritrovato a comprare il biglietto per lo show “sbagliato”, ha trasformato questo progetto in una specie di campo minato.

LD: Qual è la sensazione complessiva a proposito del progetto?
WW: Ci sembra di aver creato un misto di performance, suono, video e luci, e onestamente non penso che alcuni di questi elementi siano mai stati visti prima. In un certo senso è uno show abbastanza particolare, ma nel complesso le parti restano collegate in un modo inatteso e positivo. Il pezzo forte è questo oggetto ibrido a metà strada tra l’essere uno schermo, una passerella, un palco e un impianto luci che in alcuni momenti è il luogo dell’esibizione, mentre in altri la nasconde. Dico che è il pezzo forte, ma per buona parte dello show, viene completamente ignorato, scegliendo invece il più tipico degli approcci rock n’ roll.
All’altro estremo, i momenti più teatrali combinano tutti gli elementi dello show in un modo nuovo e totalmente moderno. Dopo mezz’ora di puro rock n’ roll, uno schermo gigante a due facce riempie lo spazio aereo dell’arena. Mostriamo alcune immagini e poi il cantante sale dentro allo schermo e lo vediamo lì dentro, far fisicamente parte delle immagini del video, sospeso nel mezzo della stanza. E’ tutto davvero alquanto strano, ma assolutamente magico.

 

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