Contest U2Place “Miss Sarajevo”: vinci una copia del libro!

Oggi, in occasione della pubblicazione in Italia del libro Miss Sarajevo di Bill Carter (vedi news), abbiamo deciso di lanciare un contest mettendo in palio una copia del libro.
L’iniziativa, in collaborazione con Maja Ajdin, prenderà avvio oggi e si concluderà il primo luglio, giorno in cui verrà estratto a sorte ed annunciato il vincitore!

Per partecipare ti chiediamo di rispondere alle domande seguenti inviando una mail a sarajevo@u2place.org, indicando il proprio nickname di iscrizione al forum di U2place, entro il 30 giugno:

1. In quale album compare la canzone Miss Sarajevo?
2. Chi ha prodotto il documentario “Miss Sarajevo” di Bill Carter?
3. In quale tour gli U2 hanno eseguito per la prima volta il brano interamente?

In attesa delle vostre risposte vi proponiamo un estratto del libro di Carter

Qualcuno mise il braccio sulla mia spalla e mi sussurrò nell’orecchio. Il suo modo di esprimersi fu preciso e incisivo. “Vi andrebbe di unirvi a noi alla villa dopo il concerto?”. Era Paul McGuinness, il manager della band. Aveva un sorriso gioioso che si allungava largo sul suo volto, la testa pelata e gli occhi chiari azzurri o forse verdi. Gli disse che ero con Jason, Ivana e sua sorella.
“Noi stavamo pensando solo a te e a Jason.”
“E’ impossibile. Siamo venuti insieme.”
“Allora venite tutti.”

Era un evento tranquillo, ma elegante. Le modelle con gambe alte avvolte nei vestiti da sera si muovevano altezzosamente nel giardino come delle gazzelle nel Serengeti. La band di apertura, i Pearl Jam, si bagnavano sul bordo piscina mentre gli U2 rispondevano alle interviste. Lo staff e il team di supporto cenavano, mentre io mi nascondevo nei cespugli riguardando la cassetta nella videocamera per assicurarmi che avesse ripreso tutto. Jason, Ivana e sua sorella mangiavano e cercavano di sentirsi a loro agio. Tutto sommato era una festa molto misurata.
Tutto, eccetto il mio cervello. Volevo prendere le bistecche dalle bocche sorridenti degli invitati e infilarle in una scatola e portarle con me a Sarajevo. Qui la ricchezza era sbalorditiva. Non la trovai offensiva come qualche liberale cuore sanguinante. I soldi non avevano colpa, ma incolpavo la gente per quello che faceva con essi. O, per dirla meglio, per quello che non faceva con essi.

Erano le tre del mattino quando ci salutammo. Ci avevano detto di prendere la limousine nera che ci stava aspettando fuori. Ci avrebbe portato fino alla nostra Yugo a quattro porte, che, speravamo, ci stesse ancora aspettando da sola al parcheggio dello stadio.
“Ehi, dove state andando?” urlò una voce nel buio. Era Bono che stava apparendo dalle ombre della villa.
“Torniamo a Sarajevo,” risposi. “Vuoi venire con noi?”
“OK! Siamo in Italia per altri dieci giorni,” disse Bono. “Se tu potessi pensare al modo in cui portarci là, io ci sto.”
C’era chiarezza nei suoi occhi; di quel tipo che desidera ardentemente sapere di più, vedere di più, fare di più. Era compassione mista a curiosità. Una persona che avrebbe fatto quello che poteva.
Presto un cerchio interno ed un cerchio esterno si radunarono sul prato sotto le stelle italiane. In quello interno stavamo Jason, io, Bono e Edge, il chitarrista degli U2. La luce che proveniva dalla villa copriva parzialmente i volti di quelli nel cerchio esterno, ma contai otto o nove silhouette.
“Là non puoi portare tutta questa attrezzatura. Solo alcuni ragazzi e suonate in discoteca. Questo è il vero rock‘n’roll, il cuore del punk”.
Ricordo chiaramente di aver sentito il rumore di passi trascinati nel cerchio esterno, seguiti da alcuni colpi di tosse.
“Stai facendo un film, vero?” chiese Edge con un suadente accento irlandese. Anche lui aveva grandi, curiosi occhi. A differenza di Bono carico di quell’energia cinetica, Edge irradiava calma per cui sembrò riservato, ma molto informato. Anche i suoi commenti sembrarono un bel tiro pronto per la mia palla aggressiva.
“Sì, sto girando un film in questo periodo.”
“Beh, Bono, forse questo è il modo per fare qualcosa realmente. Fai di quelle cassette qualcosa che possiamo mettere in onda,” disse.
“OK. Quando finisci con le riprese, facci sapere,” disse Bono. “Vieni a Dublino e resti due settimane o più nel nostro studio e realizzi il film.”
Confusione. La gente nel cerchio esterno si stava muovendo da un lato all’altro.
L’avevo appena conosciuto, ma lui mi aveva già chiesto più cose sui dettagli in Bosnia di chiunque altro avessi incontrato fuori Sarajevo. E ancora meglio, lui stava pensando in termini grandi.
“Quindi tu ci puoi far entrare?” Bono chiese di nuovo. “ Mi piacerebbe suonare là.”
“Probabilmente vi potrei procurare le tessere blu con le quali potreste prendere il volo,” disse Jason. “Un jet da trasporto militare francese C130.”
“Ma dovrei avvisarvi,” dissi, “una volta che siete là, l’aeroporto può chiudere a causa dei combattimenti. Una volta un giorno, altre volte dieci giorni. Questa è una zona di guerra e va oltre il vostro controllo o quello delle Nazioni Unite. E, sinceramente, morire è una possibilità reale.”
“Ok. Tu pensa a qualcosa nei prossimi dieci giorni e noi lo faremo,” disse Bono. Con questo ci stringemmo la mano e ci dirigemmo ognuno per la propria strada. “Dio vi benedica e grazie di essere venuti.”
Paul McGuinness mi raggiunse e mi strinse la mano.
“Siamo contenti che ce l’abbiate fatta,” disse.
“Grazie di averci ospitati,” dissi.
“Dimmi… realmente… quanto è pericolosa Sarajevo?” chiese.
“La gente muore miseramente mentre io e te parliamo.”

Regine, la donna che ci preparò per l’intervista, arrivò di corsa mentre stavo raggiungendo la macchina.
Lei sembrò scattante e genuinamente emozionata. “Bill, hai l’aiuto di una delle band più potenti al mondo. Fanne qualcosa di grande,” disse e mi diede un lungo abbraccio. Non volevo lasciarla più.

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